(Da Norma.dbi.it)
Mancando il requisito della contestualità, è possibile intercettare ed utilizzare il contenuto delle chat telefoniche?
Con la sentenza 23 dicembre 2015 n. 50452 (clicca qui per leggere la sentenza) la terza sezione della Cassazione ha affermato la possibilità, per fini probatori, di acquisire i contenuti delle “chat” telefoniche attraverso lo strumento delle intercettazioni previsto dall’art. 266 c.p.p..
Nel caso di specie le difese degli imputati avevano censurato la mancata declaratoria di inutilizzabilità delle intercettazioni, in quanto illegittimo sarebbe stato il ricorso a tale strumento, posto che la messaggistica telefonica non sarebbe assimilabile al concetto di conversazione, mancando di conseguenza il requisito della contestualità (a parere delle difese, quindi, sarebbe stato necessario, semmai, ricorrere al sequestro di dati informatici previsto dall’art. 254-bis c.p.p.). Ed invero, la giurisprudenza di legittimità, in passato, ha esaurientemente definito l’intercettazione come la captazione occulta e contestuale di una comunicazione o conversazione tra due o più soggetti che agiscono con l’intenzione di escludere altri e con modalità oggettivamente idonee allo scopo, attuata da soggetto estraneo alla stessa mediante strumenti tecnici di percezione tali da vanificare le cautele ordinariamente poste a protezione del suo carattere riservato (così si è espressa Cass. Pen., 29 marzo 2005, n. 12189).
Il requisito della contestualità, che qui interessa, vuol significare che, ai fini della ammissibilità dell’intercettazione, è richiesto che la relativa attività venga effettuata simultaneamente ed in occasione della conversazione.
Orbene, la Cassazione risolve perentoriamente la questione argomentando che le “chat” ancorché sviluppate fuori dal contesto oggetto di attività di intercettazione, costituiscono comunque un flusso di comunicazioni, sicché il loro contenuto può affatto essere acquisito attraverso tale mezzo di ricerca della prova.
(Giorgio Albeggiani per Norma.dbi.it)
19/04/2017