(da NORMA.DBI.IT)
La previsione di un singolare e ristretto termine decadenziale configura un ingiustificato privilegio per la P.A. responsabile di un illecito, determinando, sul piano della tutela giurisdizionale, una rilevante discriminazione tra situazioni soggettive sostanzialmente analoghe.
Il T.A.R. Torino ha sollevato questione di costituzionalità dell’art. 30, terzo comma, del c.p.a., laddove stabilisce che la domanda di risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi deve essere proposta “entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal momento in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo”; secondo il Collegio tale disposizione viola: l’art. 111, primo comma, della Costituzione, nonché (per il tramite dell’art. 117, primo comma, della Costituzione) dell’art. 47 della Carta dei diritti UE e dagli artt. 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo; l’art. 3 della Costituzione; gli artt. 24, primo e secondo comma, e 113, primo e secondo comma, della Costituzione.
Il Collegio, infatti, in primo luogo, osserva che l’art. 30 c.p.a. appare in contrasto con il principio del giusto processo sancito, nell’ordinamento europeo e nazionale (art. 47 della Carta dei diritti UE; artt. 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e art. 111, primo comma, della Costituzione).
Dai convergenti principi del diritto europeo e della Costituzione italiana discende la necessità che il processo amministrativo, da un punto di vista strutturale, debba garantire l’imparzialità del giudice, la parità delle parti ed il contraddittorio; e da un punto di vista funzionale e sostanziale, per quanto qui maggiormente rileva, debba assicurare una tutela piena ed effettiva del ricorrente nei confronti della pubblica amministrazione.
Nell’accezione funzionale, il processo è giusto se offre una garanzia di adeguate forme di tutela della situazione giuridica soggettiva fatta valere dal ricorrente.
Nel giusto processo amministrativo, l’interesse legittimo del ricorrente si trasforma nell’istanza di una piena ed effettiva tutela dell’aspettativa legittima sorta nel rapporto instaurato con l’amministrazione pubblica.
In tal senso, appare preferibile una lettura non riduttiva della portata del primo comma dell’art. 111 della Costituzione che, anche per il processo amministrativo, ne riconosca appieno il carattere innovativo e non meramente ricognitivo di principi già ricavabili dal coordinamento logico di previgenti norme costituzionali, così da sottoporre al vaglio del canone del giusto processo i caratteri specifici di ogni singola disciplina processuale, valorizzando la forza precettiva del principio per il quale solo un processo giusto costituisce idonea attuazione della funzione giurisdizionale.
Il Collegio sospetta che l’art. 30, terzo comma, cod. proc. amm., nella parte in cui assoggetta al brevissimo termine decadenziale di centoventi giorni la proponibilità dell’azione risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione, da parte di chi abbia sofferto una lesione del proprio interesse legittimo, si ponga in contrasto con il principio del giusto processo sancito dall’art. 111, primo comma, della Costituzione, nonché (per il tramite dell’art. 117, primo comma, della Costituzione) con il diritto ad un processo equo e ad un ricorso effettivo sancito dall’art. 47 della Carta dei diritti UE e dagli artt. 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
La previsione di un singolare e ristretto termine decadenziale configura, infatti, un privilegio per la pubblica amministrazione responsabile di un illecito; determina, sul piano della tutela giurisdizionale, una rilevante discriminazione tra situazioni soggettive sostanzialmente analoghe, dipendente dalla qualificazione giuridica di diritto soggettivo o interesse legittimo che il giudice amministrativo è chiamato a compiere nella specifica vicenda sottoposta al suo esame; non appare giustificata da esigenze oggettive di stabilità e certezza delle decisioni amministrative assunte nell’interesse pubblico (sulla nozione di “motivi imperativi di interesse generale” che possono giustificare norme processuali di favore per la pubblica autorità, altrimenti configgenti con l’art. 6 della Convenzione: Corte cost., sent. 4 luglio 2013 n. 170 e la giurisprudenza ivi richiamata).
L’ingiustificato favore per la posizione della pubblica amministrazione responsabile dell’illecito, nonché la potenziale disparità di trattamento di situazioni soggettive ugualmente meritevoli di tutela (diritto soggettivo – interesse legittimo) sottoposte, dalla norma censurata, ad un regime processuale sensibilmente diseguale (prescrizione ordinaria – decadenza breve), illustrati dal Collegio attraverso i richiamo di alcune significative pronunce della CGUE, inducono a ravvisare anche la violazione del principio di uguaglianza proclamato dall’art. 3 della Costituzione.
Sotto altro profilo, l’art. 30 c.p.a. appare in contrasto con il principio di generalità ed effettività della tutela giurisdizionale che è sancito, per il processo amministrativo, dagli artt. 24, primo e secondo comma, e 113, primo e secondo comma, della Costituzione.
La tutela giurisdizionale costituzionalmente garantita non può consistere semplicemente nella possibilità di proporre una domanda ad un giudice. L’art. 24 della Costituzione costituisce la garanzia di effettività che alle singole situazioni sostanziali protette dall’ordinamento corrispondano forme di tutela omogenee, tali da assicurare la soddisfazione agli interessi materiali dei quali quelle situazioni sono espressione. Vi è, pertanto, una stretta correlazione tra il riconoscimento sostanziale di un diritto o di un interesse giuridicamente protetto e la possibilità di una loro tutela piena nel processo, mediante un’adeguata gamma di strumenti di realizzazione giurisdizionale.
E’ nota la ratio posta alla base della previsione di termini decadenziali brevi, per l’azione di annullamento di atti emanati da autorità pubbliche e da soggetti privati: l’esigenza di certezza del diritto e di stabilità dei rapporti giuridici, connessa al rilievo che l’atto pone un assetto di interessi rilevante sul piano superindividuale.
Il bilanciamento fra il diritto degli interessati ad agire per la caducazione dell’atto e l’interesse a definire sollecitamente la relativa vicenda, per non esporre ad un tempo lungo la sorte del rapporto giuridico rilevante per una collettività di soggetti, consente di individuare il punto di equilibrio nella previsione di un termine di impugnazione a pena di decadenza, purché detto termine sia ragionevole e non renda eccessivamente difficile l’esercizio del diritto.
Tuttavia, l’azione risarcitoria dovrebbe porsi al di fuori di questa problematica, poiché l’esposizione dell’autore dell’illecito (pubblico o privato) al rischio della condanna non incide, di regola, sulla dinamica dei rapporti giuridici di cui lo stesso soggetto è titolare, né determina incertezza delle posizioni giuridiche correlate, rilevando piuttosto sul piano della reintegrazione patrimoniale e dello spostamento di ricchezza conseguente all’illecito.
Il legislatore avrebbe potuto imporre un limite temporale differenziato all’esercizio dell’azione risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione, ontologicamente compatibile con la natura del rimedio, attraverso l’individuazione di un congruo termine prescrizionale.
Infatti, mentre la prescrizione ha per oggetto un rapporto (azione o diritto sostanziale) che per effetto di essa si estingue ed è legata all’inerzia del titolare del diritto, la decadenza ha per oggetto un atto che per effetto di essa non può più essere compiuto ed esprime un’esigenza di certezza del diritto così categorica da essere tutelata indipendentemente dalla possibilità di agire del soggetto interessato.
Appare arduo ravvisare, in materia di risarcimento del danno nei confronti delle pubbliche amministrazioni, un’esigenza costante e generalizzata di stabilità dei rapporti che implichi una compressione tanto significativa del diritto del cittadino danneggiato di azionare i relativi rimedi.
Né il sospetto di incostituzionalità può essere fugato per la sola constatazione che il legislatore ha assoggettato ad analoga disciplina, nel codice civile, l’azione risarcitoria riguardante le delibere societarie.
Il profilo di irragionevolezza, ad avviso del Collegio, attiene sia alla previsione di un termine stabilito a pena di decadenza, al di fuori del presupposti legittimanti una così incisiva compressione dell’esercizio del diritto e senza la possibilità di conciliare la delimitazione temporale con il più favorevole regime della prescrizione, sia alla brevità del termine che è pari ad appena centoventi giorni.
Ma la possibile violazione degli artt. 24 e 113 della Costituzione si configura anche per altra via.
L’azione risarcitoria è costituzionalmente necessaria.
La concentrazione dei rimedi in capo al giudice amministrativo non dovrebbe avvenire al prezzo della introduzione di condizioni di accesso alla tutela oltremodo restrittive. Se l’attribuzione alla giurisdizione amministrativa della cognizione dell’azione risarcitoria, coerente alla pienezza della tutela in termini ragionevoli, comporta come contropartita l’introduzione di un regime decadenziale che, derogando al termine prescrizionale quinquennale del diritto comune, comprime significativamente le condizioni per l’esercizio dell’azione, appare contraddetta la finalità stessa della previsione dello strumento risarcitorio accanto a quello caducatorio nel sistema di tutela dell’interesse legittimo. In altre parole, appare così contraddetta l’esigenza costituzionale di pienezza ed effettività della tutela.
05/01/2016