Secondo il Tribunale l’esposizione ad amianto negli anni di servizio ha contribuito al decorso della malattia, quindi ha riconosciuto lo “status” di equiparato alle vittime del dovere, un indennizzo di 200.000 euro e il riconoscimento dell’assegno mensile vitalizio di 500 euro.
Riconoscimento dello status di vittima del dovere
Per due anni (dal 1963 al 1965) un militare era stato costretto a lavorare in condizioni di salute precarie, senza particolari accorgimenti per prevenire inalazioni di sostanze tossiche (amianto). Nel 2019, a distanza di 50 anni, moriva di una malattia polmonare.
A seguito di tale evento, la famiglia inoltrava all’amministrazione competente un’istanza di riconoscimento dello “status di vittima del dovere ed equiparati” del parente defunto e richiedeva, pertanto, il conseguente indennizzo. Venuto a conoscenza del rigetto dell’istanza da parte dell’amministrazione, il figlio ha deciso di proporre ricorso, al fine di far riconoscere i propri diritti.
Con la sentenza n. 3231 del 29 maggio 2023 il tribunale ordinario, sez. lavoro, ha accolto la richiesta presentata, riconoscendo al defunto lo “status di equiparati alle vittime del dovere” e l’indennizzo spettante ai familiari.
Analizzando nello specifico la sentenza è possibile evidenziare come, al fine del riconoscimento del predetto status, la ricerca del giudice debba essere indirizzata ad accertare il nesso di causalità tra la malattia che ha causato la morte del militare e le “particolari condizioni ambientali ed operative” nelle quali è stato costretto ad operare.
Nel caso di specie, quindi, se:
- Il soggetto durante gli anni di servizio sia stato esposto ad amianto;
- La malattia che ha causato la morte del soggetto sia stata contratta o abbia subito un’accelerazione o un aggravamento anche in ragione dell’esposizione all’amianto nei due anni di servizio.
Ebbene, se dalle mansioni svolte dal soggetto è stato relativamente facile appurare che in effetti durante gli anni di servizio abbia lavorato a contatto con tale sostanza tossica, è più difficile valutare se l’amianto respirato in quegli anni abbia effettivamente inciso nella morte del soggetto avvenuta 50 anni dopo.
Sul punto, nel caso di specie il ctu ha affermato che la malattia che ha causato la morte del soggetto è da ritenere in via concausale derivata dall’attività professionale svolta, in particolare perché “l’esposizione ad amianto ha avuto comunque la durata e l’intensità in grado di determinare la patologia respiratoria”.
Secondo il ctu, quindi, l’esposizione ad amianto ha sicuramente contribuito ad aggravare (se non addirittura a causare) la malattia che ha portato alla morte del soggetto.
L’aspetto innovativo della sentenza in questione sta nel fatto che il giudice non ha ricercato un nesso causale diretto tra l’esposizione alla sostanza tossica e la morte del soggetto. A distanza di 50 anni, infatti, stabilire con certezza se l’esposizione all’amianto durante gli anni di servizio abbia causato la malattia fatale è pressoché impossibile.
Ciò che il giudice ha invece valutato è l’alta probabilità che l’esposizione all’amianto abbia influenzato negativamente il decorso della malattia, aggravandone la sintomatologia e accelerandone l’evoluzione.
In altre parole, il giudice non ha potuto affermare con certezza che l’amianto abbia causato la morte del soggetto, ma ha ritenuto altamente probabile che ne abbia accelerato il decorso.
Dello stesso avviso è la giurisprudenza di legittimità che, con la sentenza n. 3625 del 2016, ha sancito un principio importantissimo in tema di inalazioni di sostanze tossiche e in particolare ha rilevato che “non esiste una esposizione irrilevante… sono rilevanti non solo le esposizioni inziali che conducono inizialmente al processo cancerogenetico, ma rilevano pure quelle successive fino all’induzione della patologia, dotate di effetto acceleratore, appunto e di abbreviazione, quindi, della latenza”.
Un ultimo passaggio della sentenza, molto importante, in relazione all’esposizione di sostanze nocive come le fibre di amianto, è che per il giudice la valutazione deve assumere, all’occorrenza, anche una prospettiva diacronica: dovrà cioè valutare se le condizioni al quale dovevano sottostare i lavoratori sono adeguate, al netto delle conoscenze scientifiche di cui godiamo adesso.
Per concludere, questa sentenza è molto importante e rappresenta un precedente per tutti i soggetti che, anche molti anni fa, hanno lavorato a contatto con materiali tossici e sostanze nocive e hanno sviluppato una malattia ricollegabile a questi materiali.
Chi sono i soggetti equiparati alle vittime del dovere?
Sono tutti coloro che abbiano riportato infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali, e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni operative o ambientali.
Cosa puoi ottenere?
- Un assegno vitalizio pari a circa 500,00 euro mensili a decorrere dal momento in cui è stata accertata l’infermità (se l’invalidità contratta è pari o superiore al 25%) o è intervenuto il decesso.
- Un importo pari a circa 2.000,00 euro per ogni punto di invalidità da attribuirsi alla patologia o alla lesione riportate. In caso di decesso, l’invalidità sarà considerata pari al 100%.
- Due annualità di pensione, comprensive di tredicesima, in favore dei superstiti della vittima del dovere.
- Il diritto all’assistenza psicologica e l’esenzione per le spese sanitarie e farmaceutiche.
14/03/2024