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Responsabilità medica per nascita indesiderata: non esiste alcun diritto a non nascere se non sani

(Da NORMA.dbi.it)

10988486_1533178570280722_3050298689602970366_nE’ errata la tesi del diritto a non nascere se non sani, ossia del rifiuto di una vita non degna di essere vissuta perché segnata dalla malattia per il bambino nato con una patologia grave.

E’ quanto emerge dalla fondamentale pronuncia della Suprema Corte, a Sezioni Unite, del 22 dicembre 2015. (clicca qui per leggere la sentenza)
Chiamata a dirimere il contrasto giurisprudenziale insorto in materia di nascita c.d indesiderata sulla legittimazione ad agire di chi, al momento della condotta del medico, persona ancora non era, le Sezioni Unite, richiamandosi a numerosi precedenti conformi, hanno ricordato che una volta accertata l’esistenza di un rapporto di causalità tra un comportamento colposo, anche se anteriore alla nascita, e il danno che ne sia derivato al soggetto che con la nascita abbia acquistato la personalità giuridica, sorge e dev’essere riconosciuto in capo a quest’ultimo il diritto al risarcimento.
In altri termini, è ammissibile l’azione del minore, volta al risarcimento di un danno che assume ingiusto, cagionatogli durante la gestazione.
Ad avviso del Supremo Collegio di legittimità, tuttavia, occorre procedere ad un esame approfondito della natura del diritto che con una tale azione si assume leso e il rapporto di causalità tra condotta del medico ed evento di danno.
Quanto al concetto di danno, la Corte rileva che esso è identificabile nella vita stessa e l’assenza di danno nella morte del bambino. E ciò conduce ad una contraddizione insuperabile: dal momento che l’assenza di danno è la non-vita, questa non può essere considerata un bene della vita, tanto meno dal punto di vista del nato, per il quale il bene leso diverrebbe l’omessa interruzione della sua stessa vita. Non si può quindi parlare di un diritto a non nascere, tale, occorrendo ripetere, è l’alternativa; e non certo quella di nascere sani, una volta esclusa alcuna responsabilità, commissiva o anche omissiva, del medico nel danneggiamento del feto. Allo stesso modo in cui non sarebbe configurabile un diritto al suicidio, tutelabile contro chi cerchi di impedirlo: ché anzi, non è responsabile il soccorritore che produca lesioni cagionate ad una persona nel salvarla dal pericolo di morte (stimato, per definizione, male maggiore).
11075202_1546219838976595_1079310236409810291_nLa Cassazione, per completezza argomentativa, aggiunge che seppur non è punibile il tentato suicidio, costituisce, per contro, reato l’istigazione o l’aiuto al suicidio (art. 580 cod. pen.): a riprova ulteriore che la vita – e non la sua negazione – è sempre stata il bene supremo protetto dall’ordinamento.
Il supposto interesse a non nascere, com’è stato detto efficacemente in dottrina, mette in scacco il concetto stesso di danno. Tanto più che di esso si farebbero interpreti unilaterali i genitori nell’attribuire alla volontà del nascituro il rifiuto di una vita segnata dalla malattia; come tale, indegna di essere vissuta (quasi un corollario estremo del cd. diritto alla felicità).
L’ordinamento non riconosce, per contro, il diritto alla non vita: cosa diversa dal cd. diritto di staccare la spina, che comunque presupporrebbe una manifestazione positiva di volontà ex ante (testamento biologico). L’accostamento, non infrequente, tra le due fattispecie è fallace; oltre a non tener conto dei limiti connaturali al ragionamento analogico, soprattutto in terra di norme eccezionali.
Né vale invocare il diritto di autodeterminazione della madre, leso dalla mancata informazione sanitaria, ai fini di una propagazione intersoggettiva dell’effetto pregiudizievole. La formula, concettualmente fluide ed inafferrabile, pretende di estendere al nascituro una facoltà che è concessa dalla legge alla gestante, in presenza di rigorose condizioni – progressivamente più restrittive nel tempo – posta in relazione di bilanciamento con un suo diritto già esistente alla salute personale, che costituisce il concreto termine di paragone positivo: bilanciamento, evidentemente non predicabile, in relazione al nascituro, con una situazione alternativa di assoluta negatività.
In definitiva, non esiste alcun diritto a non nascere se non sani e a sostegno di tale tesi la Corte utilizza anche l’argomento comparatistico, richiamando le sentenze che hanno negato, negli USA, in Germania e nel Regno Unito, il diritto al risarcimento del danno da “wrongful life”, nonché l’evoluzione giurisprudenziale e normativa cui si è assistito in Francia in seguito al noto caso Perruche.

19/04/2017

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