(Da Norma.dbi.it)
La coltivazione di piante per l’estrazione di stupefacenti non è punibile ove la pianta non abbia una efficacia drogante effettiva ed attuale e non sia, dunque, idonea a mettere in pericolo la salute pubblica.
La sentenza 21 gennaio 2016 , n. 2618, si inserisce nella fervida giurisprudenza in tema di stupefacenti.
Non a caso, il terreno di elezione del dibattuto principio di offensività è costituito, in larga parte, proprio dalle fattispecie delittuose di cui al d.P.R. n. 309/1990.
La Cassazione torna ad affermare che, ai fini della punibilità della coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, l’offensività della condotta consiste nella sua idoneità a produrre la sostanza per il consumo, sicché non rileva la quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, ma la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente.
Più esattamente, affinché il reato de quo sia configurabile, è necessario che la coltivazione di sostanze stupefacenti sia tale da mettere in pericolo la salute dei possibili assuntori delle sostanze medesime.
Tale probabilità che l’evento lesivo si verifichi, non deve essere valutate in prospettiva futura ed eventuale, ma con riguardo, invece, alla attuale ed effettiva capacità drogante della pianta coltivata.
Pertanto, l’offensività della condotta di coltivazione sarà esclusa nell’ipotesi in cui la sostanza da essa ricavabile non sia idonea a produrre un effetto stupefacente rilevabile in concreto.
(Antonella Ciraulo per Norma.dbi.it)
09/02/2016