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Diritto Penale, la Cassazione contro il «populismo» giornalistico

754_largeCon la sentenza n. 6463/2016 la Cassazione torna a puntualizzare che il giornalista non può insinuare maliziosamente informazioni false nascondendosi dietro l’esercizio diritto di critica, che deve comunque rispettare il requisito della verità.

Ovviamente – specifica la Corte –  tale requisito va riferito «non al contenuto valutativo della critica, ma al suo presupposto fattuale». Pertanto, le opinioni e le valutazioni personali del  giornalista, non devono essere riportate in modo tale da sovrapporsi e confondersi con il fatto riferito nei suoi esatti termini. In altre parole,  la rispondenza al vero del fatto criticato, costituisce il presupposto «sul quale l’attività di critica si innesta, per l’ovvio motivo in base al quale criticare un fatto non vero, non solo costituisce un inescusabile danno nei confronti del soggetto cui ingiustamente si attribuisce un comportamento non tenuto, ma integra anche gli estremi della “falsa comunicazione” nei confronti dei destinatari della notizia di critica-cronaca, che, dunque, vedono, di riflesso, frustrato il loro diritto di essere (correttamente) informati».

sallustiNel caso di specie, in particolare, il quotidiano diretto da Sallusti aveva pubblicato un articolo dal titolo «Sprechi da guiness a Napoli: la giunta rossa dà 130 consulenze alla stessa persona» con cui adombrava che, grazie alle sue amicizie nel mondo della politica, un noto avvocato napoletano avrebbe ottenuto consulenze a pioggia da parte del Consorzio Asi, riuscendo ad essere pagato più volte per lo svolgimento della stessa attività. Come si è accertato in giudizio, invece, si trattava di incarichi professionali per la difesa giudiziale del Consorzio non rientranti nell’oggetto della convenzione sottoscritta, ma costituenti prestazione autonoma. E – osservano i giudici – se accusare una amministrazione di sprecare denaro pubblico è senza dubbio attività valutativa e «quindi di pura critica (che non è vera o falsa, ma solo condivisibile – da taluno – o non condivisibile – ovviamente da altri), sostenere che una persona è stata pagata 130 volte per la medesima attività è una notizia (che dunque è vera o falsa)».

Nel rifiutare gli argomenti della Corte d’Appello di Milano che avevano riformato la sentenza di primo grado assolvendo il giornalista ed il direttore di Libero dal reato di diffamazione, i giudici di legittimità  contestano l’affermazione secondo la quale  «il “lettore medio” non possa essere destinatario di distinzioni troppo sottili e, dunque, debba accontentarsi di una informazione, per così dire, “all’ingrosso”. Si tratte di una concezione sicuramente paternalistica (nei confronti dei destinatari della informazione) e aprioristicamente giustificatoria (nei confronti dei diffusori della informazione), una concezione sicuramente inaccettabile in quanto legittimante una sorta di “populismo della informazione”, una informazione – vale a dire – scandalistica, che accomuna persone e fatti che, viceversa, il destinatario ha un vero e proprio diritto a conoscere (per quanto possibile) nei suoi esatti termini. L’opinione pubblica, invero, deve formarsi su notizie “chiare e distinte”; conseguentemente i lettori hanno diritto a una informazione puntuale». In definitiva, altro sarebbe stato se il giornalista avesse scritto che l’avvocato, oltre ad avere avuto un incarico di consulente del Consorzio ASI, avesse poi monopolizzato l’assistenza giudiziaria dell’ente e avesse sottoposto a critica tale notizia, consentendo al lettore di formarsi un’opinione circa la opportunità che il medesimo professionista seguisse tutte le cause del Consorzio, ovvero se fosse opportuno ed equo che tali incarichi fossero suddivisi tra più avvocati.

Articolo a cura dell’Avv. Andrea Merlo

18/02/2016

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