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Infedeltà coniugale, si può “spiare” lo smartphone del coniuge se incustodito

Infedeltà coniugaleInfedeltà coniugale, si può “spiare” lo smartphone del coniuge se incustodito

Spiare gli sms e le chat del proprio coniuge sul cellulare, per “testare” la sua effettiva fedeltà, è lecito se il telefono è lasciato incustodito in casa.

Infedeltà coniugale, la pronuncia del Tribunale di Roma

E’ questo, in estrema sintesi, ciò che emerge dalla sentenza n. 6432/2016 del Tribunale di Roma.

Via libera, quindi, alla possibilità per il marito o la moglie di procurarsi le prove dell’altrui infedeltà da esibire al giudice nella causa di separazione e ottenere così la dichiarazione di addebito.

Infedeltà coniugale,  un inevitabile affievolimento della privacy sotto lo stesso tetto

Secondo il giudice capitolino, nell’ambito coniugale la privacy subisce un affievolimento, quasi inevitabile, proprio perché la coppia coabita sotto lo stesso tetto. Appare, infatti, quasi “naturale” che oggetti come il cellulare, i tablet, siano esposti alla possibile apertura o lettura, sebbene non espressamente autorizzata. La convivenza, in definitiva, genera una sorta di manifestazione tacita di consenso alla conoscenza sia dei dati che delle comunicazioni del coniuge, anche se di natura personale.

Infedeltà coniugale, una pronuncia contraria a molti precedenti

La pronuncia– che peraltro si pone in aperto contrasto con  numerose massime precedenti – potrebbe apparire allarmante per chi ha qualcosa da nascondere all’interno dei propri device mobili: infatti, la scoperta “casuale” della relazione extraconiugale non solo non consente all’altro coniuge di rivendicare la violazione della propria privacy ma consente addirittura che il contenuto dei messaggi in chat con l’amante possa essere prodotto in giudizio e utilizzato come prova nella causa di separazione. Ciò che filtra da questa pronuncia romana è chiaro ed inequivocabile: addebitare la responsabilità della rottura del matrimonio a carico del coniuge fedifrago.

La sentenza del Tribunale di Roma trova un proprio omologo in una pronuncia del Tribunale di Torino: anche in quella circostanza il giudice aveva rilevato che non può ritenersi sussistente una violazione della riservatezza quando il marito o la moglie rovistano, di nascosto, all’interno dello smartphone del partner per ottenere prove di infedeltà. Nonostante la legge vieti l’utilizzo in processo di prove acquisite in modo illecito, in questi casi nulla di illecito viene rilevato. Ed è proprio questo il punto nodale della pronuncia.

All’interno di un contesto di coabitazione e di condivisione di spazi e strumenti di uso comune, come quello familiare, la possibilità di entrare in contatto con dati personali del coniuge è del tutto probabile e non si traduce necessariamente in una illecita violazione di dati personali. È la stessa natura del matrimonio che implica un affievolimento della sfera di riservatezza di ciascun coniuge. Si crea, insomma, con la coabitazione, un abito comune nel quale vi è una implicita manifestazione di consenso alla conoscenza di dati e comunicazioni di natura anche personale, di cui il coniuge – in virtù della condivisione dei tempi degli spazi di vita – viene di fatto costantemente a conoscenza. Sempre che non vi sia una attività specifica volta ad evitare l’altrui intrusione nella propria sfera privata (si pensi al cellulare con una password o nascosto in un cassetto). In un simile contesto non può ritenersi illecita la scoperta casuale del contenuto dei messaggi, per quanto personali, facilmente leggibili su di un telefonino lasciato incustodito in uno spazio comune della abitazione familiare.

Probabilmente, adesso, molti meno cellulari verranno lasciati in bella mostra sui tavoli o sui comodini degli appartamenti, ma i coniugi fedeli non hanno nulla da temere!

18/07/2016

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