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Abilitazione Forense: il Tar del Lazio dichiara illegittimo il voto numerico

abilitazioneNei giorni scorsi abbiamo affrontato il tema dell’abilitazione forense e, in particolare, della bocciatura agli scritti. La nostra attenzione, nello specifico, si è soffermata sulle modalità di correzione degli elaborati e la valutazione meramente numerica  degli stessi. Come si è avuto modo di chiarire, la mancanza di un giudizio espresso capace di giustificare il successo o l’insuccesso della prova d’esame è oggi, nonostante un passato giurisprudenziale di segno contrario, un’ esigenza condivisa da sempre più Tribunali Amministrativi.

In quest’ultimo periodo, infatti, sono numerose le ordinanze cautelari e le sentenze che, “bocciando” senza appello le commissioni d’esame, puntano il dito contro  le ormai note correzioni “sprint” (5 minuti di media a elaborato) e il giudizio meramente numerico.

In tale panorama giurisprudenziale rientra, a pieno titolo, una importante sentenza del Tar Lazio che, lo scorso 7 luglio, ha dichiarato illegittimo il giudizio numerico e ordinato la ricorrezione degli elaborati.

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Ecco il testo della sentenza:  

N. 09126/2015 REG.PROV.COLL.

N. 09853/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9853 del 2014, proposto da:
xxxx

contro

Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, 12; 

per l’annullamento

previa sospensione incidentale

– del verbale in data 5.2.2014 della Sottocommissione esaminatrice V istituita presso la Corte d’Appello di Napoli ai fini dell’esame per l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato – sessione 2013, indetto con D.M. 2 settembre 2013, nella parte in cui attribuisce alla ricorrente un punteggio insufficiente nelle tre prove scritte;

– della determinazione della Commissione presso la Corte di Appello di Napoli di non ammissione della medesima ricorrente alle prove orali;

– del provvedimento con cui sono stati approvati gli elenchi pubblicati in data 20.6.2014 sul sito internet dell’Ufficio Esame Avvocato c/o la Corte di Appello di Roma laddove non risulta inserito il nome della ricorrente;

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 aprile 2015 il dott. Claudio Vallorani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. La dott.ssa Serena Di Stefano ha partecipato all’esame per l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato – sessione 2013, indetto con D.M. 2 settembre 2013.

Le sue tre prove scritte – svolte, secondo la disciplina vigente, innanzi alla sottocommissione d’esame costituita presso la Corte d’appello di Roma ma corrette da quella costituita presso la Corte d’appello di Napoli – sono risultate tutte insufficienti avendo la candidata riportato i seguenti punteggi:

– diritto civile: 22;

– diritto penale: 25;

– atto processuale in materia civile: 18.

La candidata non è stata pertanto ammessa alla fase orale.

La dott.ssa Di Stefano ha pertanto proposto il ricorso in esame, impugnando la valutazione e la successiva esclusione dalle prove orali, anzitutto per violazione dell’art. 46, comma 5, della Legge n. 247 del 31.12.2012 (recante “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense”) quindi (secondo motivo) per violazione dell’art. 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241, ed eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche e per violazione dell’art. 17 bis e 30 del D.L. n. 37 del 1934 e dell’art. 22, co. 8, R.D.L. n. 1578 del 1933: al riguardo la ricorrente sostiene che la votazione soltanto numerica attribuita a ciascuno degli elaborati (non accompagnata, peraltro, da alcun annotazione sugli elaborati corretti) è inidonea ad integrare i parametri motivazionali minimi di cui all’art. 3 L. 241/1990 e a rendere intellegibile gli elementi di valutazione posti dalla sottocommissione a fondamento del proprio giudizio.

Con il medesimo motivo, inoltre, si contesta l’eccessiva brevità dei tempi impiegati nella correzione degli elaborati esaminati nella seduta del 5.2.2014, risultando dal relativo verbale (doc. 1 ric.) che la correzione delle prove scritte di ben quindici candidati si è svolta soltanto in due ore e quindici minuti, dalle ore 14:00 alle 17:15, un tempo decisamente troppo ridotto per assicurare una seria disamina delle prove.

Con il terzo motivo di gravame all’odierno esame la ricorrente contesta altresì l’erronea valutazione dei propri elaborati scritti.

La stessa rivendica infine il diritto ad essere risarcita in quanto l’illegittima valutazione le ha finora impedito di sostenere le prove orali, quindi di conseguire l’abilitazione all’esercizio della professione forense e, di conseguenza, di proseguire l’attività professionale in difesa di alcuni suoi clienti, già precedentemente intrapresa in virtù dell’abilitazione biennale al patrocinio, conseguita ex art. 8, comma 9, L. n. 1578 del 1933.

2. Si è costituito in giudizio, con il patrocinio dell’Avvocatura Generale dello Stato, il Ministero della Giustizia che, nella propria memoria, deduce in sintesi:

– l’inapplicabilità dell’art. 46 della Legge n. 247 del 2012 alla presente fattispecie, in quanto la norma non era ancora entrata in vigore;

– l’idoneità della sola motivazione numerica a sorreggere la valutazione degli elaborati da parte della Commissione esaminatrice, alla luce dell’ormai consolidato orientamento del Giudice Amministrativo ed anche secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 20 del 30.1.2009 e, più recentemente, con la sentenza n. 175 dell’8.6.2011, secondo cui l’onere della motivazione è compiutamente adempiuto con l’attribuzione del (solo) punteggio numerico, “configurandosi quest’ultimo come formula sintetica ma eloquente di esternazione della valutazione tecnica compiuta dalla Commissione esaminatrice”;

– sui tempi di correzione contestati dalla ricorrente la difesa erariale richiama il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui siffatto “vizio” non è di regola dirimente in quanto non è possibile stabilire quali candidati abbiano fruito di maggiore o minore attenzione da parte della Commissione e, quindi, se il vizio denunciato abbia inciso sul giudizio in contestazione relativo alla singola candidata;

– entrando nel merito, si espongono i limiti teorici e pratici insiti negli elaborati svolti dalla ricorrente.

Di qui la richiesta di integrale rigetto del gravame.

3. Con ordinanza n. 4278/2014 la Sezione ha accolto l’istanza cautelare proposta. Con decreto n. 4797 del 2014, depositato in data 17.10.2014, il Consiglio di Stato, investito dell’appello cautelare avverso la suddetta ordinanza, ne ha sospeso l’efficacia e, con la successiva ordinanza n. 5174 del 2014 depositata in data 13.11.2014, ha accolto l’appello ministeriale e respinto la domanda cautelare proposta in primo grado.

In vista della pubblica udienza per la trattazione del merito le parti hanno depositato memorie ex art. 73 c.p.a., nonché successive note di replica.

Alla pubblica udienza del 22 aprile 2015 la causa è stata trattenuta in decisione.

4. Invero, la sottocommissione esaminatrice ha assegnato i voti numerici sopra riportati senza però supportarli con alcuna motivazione per esteso né trascrivere alcuna annotazione valutativa sui tre elaborati corretti.

Con tale omissione, ad avviso della ricorrente (motivo sub B), sarebbe stato violato l’art. 3 della L. n. 241 del 1990, il quale prevede, in generale, che tutti gli atti amministrativi devono indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche alla base dell’atto stesso, salve tassative eccezioni, che non includono gli atti concorsuali: anzi, l’art. 46, comma 5, della legge n. 247 del 2012 (richiamato nel motivo sub A), nel disciplinare innovativamente le future modalità di correzione delle prove scritte dell’esame di abilitazione alla professione di avvocato (non ancora applicabili “ratione temporis” all’esame 2013) prevede espressamente che “la commissione annota le osservazioni positive o negative nei vari punti di ciascun elaborato, le quali costituiscono motivazione del voto che viene espresso con un numero pari alla somma dei voti espressi dai singoli componenti”.

La censura svolta si riferisce implicitamente all’orientamento giurisprudenziale secondo cui si configura una violazione dell’obbligo di motivazione, quando gli elementi di valutazione esplicitati dalla commissione di concorso (o di esame) si siano limitati al solo voto numerico: al candidato, infatti, deve essere assicurato il diritto di ricostruire ab externo il processo logico seguito dalla Commissione rispetto ai parametri prefissati dalla legge.

Tale orientamento è stato reiteratamente seguito dalla giurisprudenza recente di questa Sezione, formatasi su fattispecie pressoché identiche a quella all’odierno esame del Collegio (ordd. 8 novembre 2013, n. 4363; 7 novembre 2013, nn. 4324; 17 ottobre 2013, n. 4054; 29 agosto 2013 n. 3318), casi in cui si valorizza la circostanza che la mera espressione numerica nella valutazione degli elaborati, se accompagnata dall’assenza ovvero dall’assoluta genericità dei criteri di valutazione elaborati dalla Commissione, non è sufficiente a palesare le ragioni del giudizio espresso sull’elaborato.

D’altronde, l’obbligo della Commissione di stabilire i criteri di valutazione delle prove concorsuali e abilitative, cioè di autolimitare il proprio potere di apprezzamento in conformità a criteri predeterminati, impone di giustificarne poi l’applicazione al caso concreto: altrimenti sarebbe inutile la fissazione dei criteri medesimi, poiché il loro rispetto resterebbe indimostrabile.

In presenza di una motivazione non specifica e meramente numerica, soltanto la predeterminazione di criteri di valutazione sufficientemente puntuali e concretamente operativi consentirà al Giudice Amministrativo di svolgere quel sindacato ab externo sulla ragionevolezza, coerenza e logicità della valutazione concorsuale, che è proprio del giudizio di legittimità.

Tale affermazione di massima trova conferma negli indirizzi più volte espressi dal Consiglio di Stato in materia di concorsi pubblici così come di procedure di idoneità secondo cui “il voto numerico attribuito dalle competenti commissioni alle prove o ai titoli nell’ambito di un concorso pubblico o di un esame – in mancanza di una contraria disposizione – esprime e sintetizza il giudizio tecnico discrezionale della commissione stessa, contenendo in se stesso la motivazione, senza bisogno di ulteriori spiegazioni (quale principio di economicità amministrativa di valutazione), assicura la necessaria chiarezza e graduazione delle valutazioni compiute dalla commissione nell’ambito del punteggio disponibile e del potere amministrativo da essa esercitato e la significatività delle espressioni numeriche del voto, sotto il profilo della sufficienza motivazionale in relazione alla prefissazione, da parte della stessa commissione esaminatrice, di criteri di massima valutazione che l’omogeneità delle valutazioni effettuate mediante l’espressione della cifra del voto, con il solo limite della contraddizione manifesta tra specifici elementi di fatto obiettivi, i criteri di massima prestabiliti e la conseguente attribuzione del voto (Cons. St., sez. VI, 9 settembre 2008 n. 4300).

Solo se mancano criteri di massima e precisi parametri di riferimento cui raccordare il punteggio assegnato, si può ritenere illegittima la valutazione dei titoli in forma numerica” (Cons. Stato, Sez. VI, 11 febbraio 2011, n. 913 che richiama Cons. St., sez. VI, 10 settembre 2009 n. 5447).

5. Alla luce dei richiamati principi, il Collegio ritiene di confermare l’orientamento già manifestato dalla Sezione e rileva che, in effetti, nel caso in esame, i criteri di valutazione asseritamente applicati dalla Commissione V (vedi verbale n. 2, doc. 1 ric.) appaiono generici in quanto in larga parte ripetitivi di quanto prevede in generale la disposizione legislativa (ancora) da applicare alla procedura di abilitazione forense2013, costituita dall’art. 22, comma 9, R.D.L. 27/11/1933, n. 1578, a mente del quale “La commissione istituita presso il Ministero della giustizia definisce i criteri per la valutazione degli elaborati scritti e delle prove orali e il presidente ne dà comunicazione alle sottocommissioni. La commissione è comunque tenuta a comunicare i seguenti criteri di valutazione: a) chiarezza, logicità e rigore metodologico dell’esposizione; b) dimostrazione della concreta capacità di soluzione di specifici problemi giuridici; c) dimostrazione della conoscenza dei fondamenti teorici degli istituti giuridici trattati; d) dimostrazione della capacità di cogliere eventuali profili di interdisciplinarietà; e) relativamente all’atto giudiziario, dimostrazione della padronanza delle tecniche di persuasione”.

La formulazione di criteri di massima così generici, ad avviso del Collegio, è insufficiente ad integrare quei precisi parametri di riferimento a cui raccordare il punteggio assegnato, mancando i quali “si può ritenere illegittima la valutazione dei titoli in forma numerica” (Cons. Stato, Sez. VI, 11 febbraio 2011, n., 913 sopracitata).

E’ inoltre incontestato che i tre elaborati del ricorrente sono stati valutati con il solo punteggio numerico, senza neanche apporre segni grafici sugli stessi (vedi doc. 1 ric.).

Tale “modus operandi” della Commissione, oltre ad impedire al candidato un’idonea difesa delle proprie ragioni dinanzi al G.A. – seppure nei limiti del sindacato che questi può esercitare sulla valutazione di merito espressa dalla Commissione sulle prove di esame, argomentando, ad esempio, su palesi vizi logici o giuridici in cui questa potrebbe essere incorsa nella correzione – impedisce comunque al medesimo di avere effettiva contezza degli asseriti errori in cui è incorso, conoscenza che potrebbe impedirgli di reiterarli in un successivo esame a cui volesse partecipare.

Si ritiene, pertanto, di seguire l’orientamento emergente dalle pronunce sopra richiamate il quale tempera l’adeguatezza del voto numerico con la necessaria predeterminazione da parte della commissione d’esame anche di criteri di massima (per la valutazione delle prove) adeguati e precisi e, perciò, idonei a rendere intellegibile il voto numerico attraverso un’operazione logico-ermeneutica di raccordo tra quest’ultimo ed i criteri di valutazione prefissati.

Si tratta, invero, dell’interpretazione giurisprudenziale che appare preferibile per consentire una migliore intelligibilità della motivazione numerica in quanto tale posizione costituisce un punto di mediazione tra le opposte esigenze dell’economicità ed efficienza dell’azione amministrativa, che non tollera l’imposizione di un obbligo indiscriminato di motivazione in procedure spesso assai complesse per numero di concorrenti e tipologia delle prove, da un lato e, dall’altro, l’esigenza dei candidati giudicati inidonei di comprendere in relazione a quali aspetti i loro elaborati sono stati ritenuti non soddisfacenti.

6. Ritenuto, per tutto quanto precede, di accogliere il ricorso proposto dalla dott.ssa Di Stefano, da ritenere fondato per quanto di ragione entro i limiti sopra esposti; ritenuti altresì assorbiti gli ulteriori motivi e, comunque, infondate le ulteriori censure articolate nel ricorso; ai sensi dell’art. 34, comma 1, lett. e), c.p.a. questo Tribunale, quale misura idonea ad assicurare l’attuazione della sentenza, ordina all’Amministrazione di riesaminare gli elaborati della ricorrente attraverso la rinnovazione del procedimento valutativo, da parte di una commissione in diversa composizione che dovrà svolgere la correzione insieme ad altri elaborati (in numero minimo di cinque) estratti a sorte fra quelli degli altri candidati, attribuendo anche a questi ultimi, ma ai soli fini di assicurare l’anonimato, un proprio giudizio.

L’anonimato sarà realizzato cancellando sia i voti precedentemente attribuiti, sia i precedenti numeri identificativi dei candidati, inserendo gli elaborati in nuove buste, provviste di nuovi numeri identificativi progressivi, all’interno delle quali saranno collocate le buste piccole contenenti le generalità dei candidati.

La correzione dovrà essere effettuata nel termine di quaranta giorni dalla comunicazione, o notificazione se anteriore, della presente sentenza.

6. La natura della presente decisone – che rimette necessariamente al futuro, rinnovato giudizio dell’Organo amministrativo la spettanza dell’abilitazione e la fondatezza dell’interesse pretensivo vantato dalla candidata – è intrinsecamente inidonea a comportare qualsiasi accertamento circa la spettanza del “bene della vita” perseguito, accertamento rimesso alla nuova, motivata valutazione tecnico-discrezionale dell’Amministrazione, per definizione sottratta al sindacato giurisdizionale.

Deriva da ciò che non può trovare accoglimento la domanda risarcitoria introdotta dalla ricorrente per non essere stata messa in condizione di continuare a svolgere professionalmente l’attività di patrocinio legale già intrapresa ai sensi dell’art. 8, comma 9, L. n. 1578 del 1933, domanda che presupporrebbe positivamente definito quel giudizio di fondatezza della pretesa all’abilitazione forense (ovvero di “spettanza” della stessa alla ricorrente), che per la ragione anzidetta non è allo stato possibile.

Oltre a ciò si rileva anche che l’asserito danno non viene comunque né dedotto né tantomeno provato nel “quantum”.

7. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie ai sensi e con le modalità di cui in motivazione e, per l’effetto:

– annulla le valutazioni che hanno giudicato inidonea la ricorrente;

– ordina all’Amministrazione di rivalutare l’interessata entro 40 (quaranta) giorni dalla notificazione o comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, secondo le modalità indicate in parte motiva.

Condanna il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t., al pagamento delle spese di giudizio in favore della ricorrente, che liquida nella misura complessiva di € 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre Iva, cassa Avvocati ed oneri tutti di legge.

Contributo unificato a carico anch’esso della parte resistente, ai sensi dell’art. 13, comma 6-bis 1., del d.P.R. n. 115 del 2002.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 aprile 2015 con l’intervento dei magistrati:

Francesco Corsaro, Presidente

Vincenzo Blanda, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 07/07/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

19/04/2017

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