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Consiglio di Stato: Sentenza n. 4432/2015 su Scuole di Specializzazione

N. 04432/2015REG.PROV.COLL.

N. 04527/2015 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm. sul ricorso numero di registro generale 4527 del 2015 proposto da Gabriele Angelo Castorina, rappresentato e difeso dall’avv. Umberto Cantelli, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Bonetti -Delia in Roma, Via San Tommaso D’Aquino, 47;

contro

Ministero dell’Istruzione dell’Universita’ e della Ricerca (MIUR), Università degli Studi di Roma Tor Vergata, Università degli Studi di Milano, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12; Cineca;

nei confronti di

Marco Poletti, Lisa Galletti;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. LAZIO -ROMA -SEZIONE III BIS, n. 5857/2015, resa tra le parti, concernente annullamento della graduatoria unica nazionale del concorso per l’ammissione alle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia -a. a. 2013/2014 -risarcimento danni;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio del MIUR;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nella camera di consiglio del 27 agosto 2015 il cons. Marco Buricelli e uditi per le parti gli avvocati Cantelli per l’appellante e Capolupo per il MIUR;

sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm. ;

accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria e ritenuto, a scioglimento della riserva formulata al riguardo, di potere definire il giudizio nel merito con sentenza in forma semplificata e con motivazione abbreviata, compatibilmente con le peculiarità del giudizio;

premesso in fatto e considerato in diritto quanto segue.

1. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha respinto il ricorso proposto, tra gli altri, dal dott. Angelo Castorina:

-avverso e per l’annullamento della graduatoria nazionale di merito, pubblicata dal MIUR il 5 novembre 2014, per l’ammissione alle scuole di specializzazione in medicina e chirurgia –a. a. 2013 -2014, e degli atti della relativa procedura concorsuale, e per

-l’accertamento del diritto all’ammissione, in particolare, alla scuola di specializzazione di Medicina fisica e riabilitativa –sede di Milano, e comunque per la condanna delle amministrazioni al risarcimento del danno in forma specifica mediante l’inserimento in graduatoria in posizione utile, l’ammissione alla scuola e l’assegnazione del posto, anche in sovrannumero, e in subordine per il risarcimento del danno per equivalente.

2. Angelo Castorina ha partecipato alla procedura, e riferisce di essersi collocato “in posizione “ex aequo” e primo dei non ammessi per l’Ateneo di Tor Vergata cui aspira in via subordinata rispetto alla prima scelta che è Milano”.

Con riguardo alla sede di Milano –scuola di specializzazione di Medicina fisica e riabilitativa, il Castorina risulta avere ottenuto un punteggio di 92,2.

All’ultimo aspirante inserito nella graduatoria nazionale in posizione utile risultano essere stati attribuiti punti 93,7.

La procedura d’ammissione era per titoli ed esami.

La prova d’esame consisteva in una prova scritta che prevedeva la soluzione di 110 quesiti a risposta multipla, ciascun quesito con quattro possibili risposte, ed era divisa in due parti.

La prima parte, generale, comprendeva 70 quesiti, era comune a tutte le tipologie di scuola ed era stata calendarizzata per il 28 ottobre 2014, in più sedi.

La seconda parte –che qui interessa- comprendeva 40 quesiti, 30 dei quali comuni a tutte le tipologie di scuola appartenenti alla medesima area, ma differenziati a seconda dell’area prescelta (area medica, area chirurgica, area dei servizi clinici).

Il bando per l’ammissione (DM n. 612/2014) aveva previsto lo svolgimento della seconda parte della prova, relativa ai 30 quesiti d’area, il 29 ottobre 2014 per le scuole di area medica, il 30 ottobre per le scuole di area chirurgica e il 31 ottobre per le scuole di area dei servizi clinici.

Erano inoltre contemplati 10 quesiti specifici per ciascuna tipologia di scuola.

Il 31 ottobre 2014, a seguito dei controlli di ricognizione finali sullo svolgimento dei test, il MIUR rilevava che nella somministrazione delle prove sui quesiti d’area del 29 e del 31 ottobre riguardanti rispettivamente le scuole dell’area medica e quelle dell’area dei servizi clinici si era verificata l’inversione dei quesiti delle prove del 29 ottobre con quelli delle prove del 31.

Ai candidati che si accingevano a sostenere la prova dell’area medica erano state somministrate le domande dell’area dei servizi clinici, e viceversa.

Dopo avere in un primo tempo annunciato di voler annullare e ripetere le prove coinvolte nell’errore determinato dal CINECA, il MIUR stabiliva di procedere alla validazione dei quesiti inclusi nelle prove dell’area medica e dell’area dei servizi clinici, considerando i quesiti rispettivi pertinenti rispetto ai criteri stabiliti dal bando, anche alla luce dell’inversione delle prove delle due aree segnalata dal CINECA.

Le due prove d’area del 29 e del 31 ottobre venivano ritenute scientificamente aderenti ai criteri fissati dal bando d’ammissione e riconducibili in via diretta all’area medica (la prova del 29 ottobre) e all’area dei servizi clinici (la prova del 31 ottobre), tranne che per due domande per area, considerate non pertinenti.

Queste ultime domande venivano neutralizzate (cfr. verbale della riunione della commissione nazionale del 3 novembre 2014).

Per la prova dell’area medica del 29 ottobre, e per la prova dell’area dei servizi clinici del 31 ottobre, erano dunque ritenuti pertinenti 28 quesiti su 30, e non pertinenti due quesiti per ciascuna delle due prove.

Il bando per l’ammissione alle scuole, all’art. 6, prevedeva, per la prova relativa alla seconda parte specifica d’area, l’attribuzione di un punto per ogni risposta esatta, di 0 punti per ogni risposta non data e la decurtazione di 0,30 punti per ogni risposta errata.

Secondo quanto riferisce l’appellante, per effetto della neutralizzazione, a ciascun candidato veniva attribuito un punteggio pari a + 1,30 per ciascuna delle domande eliminate (“i ricorrenti espongono che…ad ogni candidato (veniva) attribuito il punteggio di 2,60 per le domande eliminate” –p. 1.1. sent. , pag. 4).

In realtà, dagli atti di causa non risulta con chiarezza se l’abbuono di punteggio per le domande neutralizzate sia stato effettivamente di punti 1,3 per ognuna delle due domande (ossia, più ancora di quanto ciascun candidato avrebbe avuto se la risposta fosse stata corretta), o di +1 per ciascun quesito. Ad esempio, a pag. 6 della sentenza del Tar n. 3926/2015, resa su controversia analoga, si legge che quale conseguenza delle neutralizzazioni “ad ogni candidato è stato attribuito un punteggio pari a +1 per entrambe le domande”.

Il dato non appare comunque decisivo, né rilevante, ai fini della definizione del giudizio.

Va invece rimarcato che il MIUR, in seguito alla riunione della commissione del 3 novembre 2014, aveva stabilito che la valutazione avvenisse per dir così “su base 28”, riconoscendo però a tutti i candidati un punteggio positivo per le due domande neutralizzate.

3. Il Tar ha respinto il ricorso considerando anzitutto immune dalle censure dedotte la sanatoria dell’inversione, ossia la validazione delle 28 domande per ciascuna area, la correlata neutralizzazione di due quesiti per ciascuna delle due aree, in quanto ritenuti non pertinenti, e la decisione di procedere –non all’annullamento e alla ripetizione delle prove oggetto dell’errore ma- al ricalcolo dei punteggi dei candidati previo “abbuono”, a favore di ognuno di essi, a quanto consta, di 2,60 punti per le domande “neutralizzate” (v. sent. , pp. 4.1. e 4.2.).

E’ in particolare richiamando la non pretestuosità delle considerazioni svolte dalla commissione nazionale in sede di riesame, nel verbale del 3 novembre 2014, in relazione anche al disposto di cui all’art. 7, punto 9, lett. b) del bando, e a quanto indicato nella IV colonna della tabella di cui all’allegato 2 del bando stesso, che il giudice di primo grado ha ritenuto non condivisibile la tesi dell’illegittimità della sanatoria dell’inversione in blocco dei quesiti, rilevando come l’inversione suddetta, quantunque erroneamente effettuata –e al riguardo lo stesso MIUR si era espresso in termini di “grave anomalia” e di “grave errore materiale”- non possa essere ritenuta “radicalmente inficiante” l’intera procedura per ragioni attinenti alla dedotta violazione di principi di “competenza specifica”, essendo invece le domande formulate, nella grandissima maggioranza dei casi, riconducibili ai settori scientifico –disciplinari (ssd) fondamentali in sede di valutazione dei dati clinici, diagnostici e analitici.

Quanto poi alla perizia di parte –al “parere tecnico scientifico sui test d’ammissione” prodotto in giudizio, dal quale si ricaverebbe da un lato l’estraneità e la non attinenza all’area di taluni dei (ventotto) quesiti “salvati” in quanto ritenuti pertinenti all’area, e dall’altro l’individuazione, in particolare, di diverse domande con più risposte esatte -e in alcuni casi con nessuna risposta corretta- rispetto a quanto indicato dal MIUR / CINECA, in sentenza si rileva come –benché il MIUR nulla opponga all’interpretazione delle domande fornita dalla perizia di parte- ciò che si chiede al giudicante è una completa sovrapposizione all’operato di validazione della Commissione nazionale, una non consentita sostituzione del giudice amministrativo a valutazioni fortemente tecniche e, in definitiva, un’ingerenza –inammissibile, in base a ciò che si evince, in modo solo implicito ma ciò nondimeno certo, dalla struttura argomentativa della sentenza- nell’alveo di conoscenze e di valutazioni strettamente tecnico –scientifico –professionali, tipiche della scienza medica, anche nella scelta di una risposta piuttosto che di un’altra, senza che parte ricorrente sia riuscita a dimostrare la manifesta irragionevolezza delle valutazioni compiute dalla commissione.

Sul motivo secondo cui la commissione non avrebbe potuto validare –e in parte neutralizzare- i quesiti giacché la stessa non era al completo dei suoi componenti, mancando tre docenti esperti in altrettante specializzazioni (Medicina interna, Igiene generale e applicata e Medicina legale), la sentenza (v. p. 4.3.) ha ritenuto che nel caso in esame non ricorressero i presupposti per poter rientrare nella fattispecie del collegio perfetto, in quanto le operazioni valutative –sulla pertinenza, o meno, dei quesiti, con conseguenti validazioni, o neutralizzazioni- che la commissione era stata chiamata a effettuare non ricadono tra quelle attività che, per la giurisprudenza, devono essere compiute dalla commissione come collegio perfetto, non venendo in questione, in particolare, la determinazione delle domande da sottoporre ai candidati i quali avevano già svolto la prova sulla base dei quesiti predisposti da tempo, ma venendo invece in rilievo solamente un’attività di validazione dei quesiti scambiati.

La censura basata sulle “numerose irregolarità che hanno costellato lo svolgimento delle prove” non è stata condivisa dal Tar (v. p. 5.2.) non avendo i ricorrenti evidenziato alcun nesso causale preciso e concordante tra le irregolarità riferite e l’esito negativo delle prove, ed essendo anzi stata introdotta una sorta di azione popolare sulla regolarità delle prove che non può trovare albergo nel giudizio di legittimità.

E’ stata disattesa anche la censura di violazione del principio dell’anonimato e di omessa verbalizzazione delle operazioni svolte da CINECA e MIUR, anche con riguardo al fatto che la neutralizzazione di due quesiti e l’abbuono, a tutti i candidati, a quanto consta, di 2,60 punti per le domande eliminate, erano avvenuti dopo che CINECA e MIUR erano “entrati” nelle prove modificando in modo postumo le risposte e “alterando” i punteggi sulla base della decisione ministeriale.

E’ stato poi respinto il motivo imperniato sulla mancanza di un esplicito provvedimento del MIUR di autorizzazione alla redazione della graduatoria in base ai criteri stabiliti dalla commissione nella riunione del 3 novembre 2014 (v. pp. 6. e 7. sent.).

Il Tar (p. 8.) ha infine –per quanto rileva in questo grado d’appello- respinto il motivo col quale era stata lamentata l’illegittimità della scelta ministeriale con cui, a fronte di un fabbisogno di medici specialisti da formare pari a 8.190 unità, come accertato dall’accordo Stato –Regioni del 15 marzo 2012, erano stati considerati finanziabili soltanto 5.000 contratti di formazione specialistica.

Per il Tar, dall’accordo risulta in primo luogo (v. art. 1) che i 5.000 posti sono riferiti al primo anno di corso, e che il MEF ha individuato nel numero di 21.924 i contratti di formazione specialistica a carico dello Stato a partire dall’a. a. 2011 -2012.

Inoltre poiché, stando all’art. 3 dell’accordo, il numero dei contratti finanziati dallo Stato non consente di soddisfare il fabbisogno concordato, e resta ferma la possibilità di finanziare, nei limiti del predetto fabbisogno, ulteriori contratti di formazione specialistica con risorse regionali e di altri soggetti, la censura non è neanche dimostrata dato che non è esclusa l’assegnazione di ulteriori borse di studio finanziate dalle Regioni che hanno disposto i relativi stanziamenti.

4.L’appellante, nel rammentare di trovarsi collocato in graduatoria, con 92,2 punti, quale primo dei non ammessi, e che l’ultimo degli ammessi a Milano, alla scuola di specializzazione di Medicina fisica e riabilitativa, è entrato con 93,7 punti, afferma di avere ben risposto ai due quesiti d’area dei servizi clinici, “sterilizzati”, e sostiene che, grazie alla mancata neutralizzazione delle due domande d’area e alla riattribuzione, o all’astratta detrazione, a danno dell’ultimo degli ammessi, dei 2,6 punti abbuonati, in modo generalizzato e illegittimo, a favore di tutti i partecipanti, egli otterrebbe l’ammissione alla scuola prescelta.

E’ infatti probabile, per non dire certo, che decine, se non centinaia, di partecipanti che l’appellante qualifica come “suoi avversari”, avendo originariamente errato nel rispondere alle suddette domande, vedrebbero ridursi il punteggio di 1,3 o di 2,6 punti, diminuzione che, in una graduatoria come quella in esame, assume una notevole rilevanza, con un conseguente abbassamento dei punteggi ben al di sotto dei punti totalizzati dall’appellante.

Nell’esposizione preliminare dell’atto d’appello s’insiste sull’illegittimità della sanatoria dell’inversione delle prove di “area medica” e di “area servizi”.

Sanatoria dell’inversione, neutralizzazione delle due domande per area, conseguente abbuono generalizzato dei punteggi e ricalcolo degli stessi secondo quanto specificato sopra, violerebbero la “lex specialis” concorsuale, che non risulta però annullata in via di autotutela da parte dell’amministrazione essendosi in realtà dato vita a una selezione diversa da quella originaria.

La graduatoria formata sarebbe comunque di per sé illegittima poiché basata su 28 quesiti (quelli validati) anziché sulle 30 domande “originarie”, e sull’illegittimo abbuono generalizzato dei due quesiti d’area diversa da quella stabilita in origine e basata, in ultima analisi, su regole e criteri mai formalmente validati.

Sarebbe infatti illogico equiparare coloro che hanno risposto bene ai candidati che non hanno risposto o che hanno dato risposte errate.

La selezione avvenuta in concreto è diversa da quella prestabilita con il bando d’ammissione di cui al DM n. 612/2014.

Quale effetto di detta illegittimità, i 30 punti dell’area medica e dei servizi non potrebbero essere in alcun modo computati in sede di predisposizione della graduatoria e dovrebbero anzi essere detratti.

In particolare, l’indicazione ministeriale del 1° novembre 2014 di annullamento e ripetizione delle prove errate è radicalmente mutata dopo soli due giorni in seguito alla riunione della commissione del 3 novembre.

Convalida dell’inversione, neutralizzazioni, abbuoni delle due domande per ciascuna delle due aree, ricalcolo dei punteggi e redazione e approvazione della graduatoria risultano avvenuti in assenza di un provvedimento ministeriale. Manca, in particolare, un provvedimento del MIUR di autorizzazione alla redazione della graduatoria che recepisca le risultanze della riunione del 3 novembre 2014, nel corso della quale la commissione ha, in composizione “imperfetta” e “incompleta”, ritenuto i quesiti validabili e in parte neutralizzabili.

Un verbale di commissione è inidoneo a modificare un bando d’ammissione, emanato con DM.

La redazione di una graduatoria esprime un tipico potere di amministrazione attiva spettante al MIUR, mentre alla commissione competono mere funzioni valutative e non gestionali.

Le due domande neutralizzate non sarebbero errate, né “fuori programma”, ma, anzi, sarebbero valide.

Viceversa, sarebbero non pertinenti all’area alcuni quesiti validati e, soprattutto, stando alla perizia di parte, non contestata, e ferma comunque la possibilità per il giudice di disporre verificazione o c.t.u. sui quesiti contestati, risulterebbero esservi alcune domande con una pluralità di risposte esatte rispetto all’unica risposta esatta indicata dal MIUR –CINECA; in altri casi vi sarebbero domande con nessuna risposta corretta, sicché l’aver considerato errate alcune risposte ad altrettante domande alle quali l’appellante ha risposto come indicato dal perito di parte ha comportato l’illegittima collocazione del candidato in posizione non utile in graduatoria.

Nell’appello si riafferma poi il carattere decisivo ai fini di causa dell’incidenza degli abbuoni: basterebbe l’accettazione come esatta di una sola delle risposte contestate per conseguire l’ammissione alla scuola prescelta.

Ciò posto l’appellante ribadisce come il proprio interesse primario sia rivolto all’inserimento in graduatoria in posizione utile e all’ammissione, anche in sovrannumero (e con borsa di studio), “sub specie” di risarcimento del danno in forma specifica in base al combinato disposto di cui agli articoli 34, comma 3, e 30, comma 2, del cod. proc. amm. , non sembrando più utile, per sopravvenuto difetto d’interesse, l’annullamento integrale della procedura, considerato il carattere “ciclico” della stessa.

Quanto alle risultanze della perizia di parte, desta perplessità la tesi del Tar per la quale sarebbe stata chiesta al giudice amministrativo una inammissibile sovrapposizione all’operato valutativo dell’amministrazione dato che, si sostiene, dall’accoglimento di detta tesi discenderebbe l’assoluta incontestabilità di qualsiasi quesito sottoposto ai candidati in una procedura selettiva, e di qualsiasi risposta a quesiti a risposta multipla.

Nella fattispecie, per alcune domande erano presenti una pluralità di risposte, ugualmente corrette –ad avviso del perito di parte- per lo stesso quesito; in altri casi, le risposte esatte erano diverse da quella indicata come tale dal MIUR, sicché l’assegnazione all’appellante del punteggio –negato dal MIUR ma- spettante con riferimento a domande alle quali l’appellante ha risposto come indicato dal perito di parte determinerebbe l’inserimento in graduatoria e l’ammissione alla scuola.

Le irregolarità di carattere procedurale che si sarebbero verificate nel corso delle prove sono denunciate da pag. 23 del ricorso in appello : postazioni dei candidati vicinissime, sì da rendere possibili copiature; punteggi “stellari” segnalati in modo inopinato in alcune sedi; black out energetici in talune sedi, sì da consentire ai candidati, dopo avere letto le domande, di avere più tempo per svolgere la prova; indebita navigazione in rete mediante l’utilizzo di cellulari; il baco informatico nel software CINECA e le modifiche “in automatico” delle risposte quando si clicca sulla parte bianca dello schermo, e altre falle di sistema…; la disposizione dei candidati in aula a scelta anziché secondo i criteri prestabiliti.

“Insomma un caos”.

Ancora, è denunciata la violazione dell’anonimato mediante l’ingresso di MIUR e CINECA nelle prove e la modifica postuma delle risposte in maniera conforme alla decisione ministeriale.

In tutti questi casi, diversamente da quanto rilevato in sentenza, allo scopo di accogliere il motivo ad avviso dell’appellante non occorre evidenziare alcuno specifico nesso di causalità tra irregolarità denunciata ed esito negativo della prova.

L’accertamento dell’irregolarità è sufficiente, di per sé, al fine d’invalidare la procedura, stante la violazione dei principi di parità di trattamento e di trasparenza.

Viene poi ribadito che la presunta vicenda dello scambio dei plichi non risulta verbalizzata e che manca, inoltre, un verbale di formulazione dei quesiti, decisivo per verificare l’effettiva validabilità delle domande stesse, almeno nella grandissima maggioranza dei casi.

E’ infine riaffermata l’illegittimità del numero di “borse di studio” bandite (solo 5.000, a fronte di un fabbisogno di medici specialisti da formare, accertato dalla Conferenza Stato –Regioni nel 2012, di 8.190 unità).

L’appellante ha presentato istanza cautelare formulando domanda d’immatricolazione in sovrannumero e di ammissione a frequentare le lezioni e il percorso di specializzazione, anche con “rinuncia a ogni retribuzione”.

5. Il MIUR si è costituito per resistere.

6. Nella camera di consiglio del 27 agosto 2015, prima dell’inizio della discussione sulla richiesta di misure cautelari, il Presidente del Collegio ha indicato alle parti, disponendo che se ne desse atto a verbale, ai sensi dell’art. 73, comma 3, del cod. proc. amm. , le questioni riguardanti a) la compatibilità tra proposizione di motivi, particolarmente di natura procedimentale e formale, tali da comportare l’annullamento della procedura e la ripetizione della prova sui 30 quesiti d’area, e la domanda d’immatricolazione, anche in sovrannumero, e anche in sede cautelare, nella scuola di specializzazione prescelta, quale effetto derivante dall’accoglimento delle censure d’illegittimità specie procedimentali e formali dedotte; e b) la necessità, o meno, per l’eventualità che sia meritevole di accoglimento uno o più dei motivi di natura procedimentale o formale proposti, che da ciò consegua la rimessione della causa al giudice di primo grado ai sensi dell’art. 105, comma 1, del cod. proc. amm., essendo stata resa nella specie sentenza a contraddittorio non integro e dovendo essere integrato il contraddittorio nei confronti di tutti i candidati che hanno partecipato alle prove d’accesso collocandosi in posizione utile in graduatoria. E’ stata inoltre segnalata, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 60 del cod. proc. amm. , la possibilità di definire il giudizio con sentenza in forma semplificata.

Nel corso della discussione l’appellante ha messo in rilievo tra l’altro il proprio interesse primario a ottenere il risarcimento del danno in forma specifica mediante l’ammissione, anche in sovrannumero, e in sede cautelare e con riserva, alla scuola prescelta.

Il difensore del MIUR ha replicato e il ricorso è stato quindi trattenuto in decisione.

7. Il Collegio è consapevole della notevole delicatezza e rilevanza degli interessi coinvolti nella vicenda odierna.

E ben sa che, in numerosi giudizi analoghi, questo Consiglio ha adottato provvedimenti cautelari di ammissione con riserva e in sovrannumero alle scuole, “senza borsa di studio”, a favore di laureati che si trovano in posizione simile a quella dell’appellante odierno.

7.1. Questo Collegio, tuttavia, nel riesaminare in modo approfondito la questione, osserva in primo luogo che l’oggetto del giudizio, ossia il bene della vita preteso dal ricorrente, è segnato dai motivi di ricorso.

Se tali motivi attengono essenzialmente a vizi di procedimento che comportano non l’accertamento del diritto del ricorrente all’ammissione, bensì soltanto la riedizione della prova selettiva, in vista di una eventuale futura utile collocazione in graduatoria, non è dato comprendere come il giudice possa disporre l’ammissione in soprannumero del ricorrente, misura che esula dall’oggetto del giudizio.

Ciò sia in sede di cognizione, sia in sede cautelare, dal momento che la misura cautelare è strumentale rispetto al merito e non può dare al ricorrente utilità ulteriori rispetto al merito.

Nemmeno giova agli appellanti invocare il diritto al risarcimento del danno in forma specifica, di cui all’art. 30, comma 2, cod. proc. amm. .

In generale, la tutela risarcitoria serve ad assicurare al danneggiato la “restitutio in integrum” del suo patrimonio e, quindi, a garantire l’eliminazione delle conseguenze pregiudizievoli dell’attività illecita ascritta al soggetto responsabile.

La riparazione delle conseguenze dannose viene garantita dall’ordinamento mediante due modelli di tutela, tra loro alternativi: quello del risarcimento per equivalente, che riconosce al danneggiato il diritto ad una somma di denaro equivalente al valore della lesione patrimoniale patita, e quello della reintegrazione in forma specifica, che attribuisce al soggetto passivo la medesima utilità, giuridica od economica, sacrificata o danneggiata dalla condotta illecita.

Il risarcimento in forma specifica è volto ad attribuire al soggetto leso la medesima utilità giuridica od economica, sacrificata o danneggiata dalla condotta illecita (v. , “ex multis”, Cons. Stato, sez. V, n. 1796/2011).

Delle due forme di risarcimento del danno conosciute dal nostro ordinamento il risarcimento per equivalente è cioè un rimedio alla diminuzione patrimoniale, mentre il risarcimento in forma specifica è un rimedio all’alterazione del bene materiale (“quando sia in tutto o in parte possibile”, secondo l’art. 2058 c. c.).

Nella specie gli appellanti mirano a conseguire un’utilità diversa (e ingiustamente superiore) rispetto a quella cui potrebbero aspirare attraverso la pura e semplice rimozione degli effetti dell’atto illegittimo e il ripristino della situazione che si sarebbe determinata in assenza di tale illegittimità.

Come già osservato, il bene materiale ricavabile dall’accoglimento dei motivi di ricorso non è l’ammissione in soprannumero, bensì invece la riedizione della prova.

Dunque, della pretesa di ammissione in soprannumero a titolo di risarcimento del danno in forma specifica mancano in radice i presupposti.

Ciò vale anche per il motivo, di cui si farà cenno successivamente, con cui viene contestato il criterio con cui è stata individuata, in alcuni casi, l’unica risposta esatta.

E’ evidente, infatti, che l’eventuale accoglimento del motivo comporterebbe non l’ammissione in soprannumero dell’appellante, bensì invece la necessità di una nuova valutazione degli elaborati di tutti i candidati.

L’eventuale accertata fondatezza dei motivi, essenzialmente procedimentali e formali, formulati nel presente giudizio, a differenza di quanto sostiene l’appellante non sarebbe dunque in grado di condurre all’accertamento del diritto all’ammissione in sovrannumero alla scuola prescelta quale modo di risarcimento del danno in forma specifica.

Fermo quanto si dirà più sotto, al p. 7.2., sulla “sanatoria dell’inversione” e sulla sostenibilità, nel complesso, dell’azione ministeriale di validazione / neutralizzazione / abbuono e ricalcolo dei punteggi, e altro ancora, l’ipotetico accoglimento dei motivi procedimentali riassunti al p. 4. potrebbe comportare solamente, in linea di principio, previo annullamento degli atti e delle operazioni giudicati illegittimi –e preservando, nell’osservanza dei principi di economicità e di conservazione, la validità degli atti della procedura che non risultino inficiati dalle illegittimità eventualmente riscontrate in giudizio-, la rinnovazione della procedura, depurata, appunto, dalle illegittimità giudizialmente accertate.

Nel caso qui in esame occorre poi considerare che l’eventuale rinnovazione della procedura dovrebbe necessariamente presupporre il rinvio della causa al giudice di primo grado ex art. 105 cod. proc. amm. per l’integrazione del contraddittorio nei riguardi di tutti i candidati che hanno partecipato alle prove d’accesso collocandosi in posizione utile in graduatoria, dato che, come si è detto, in primo grado il contraddittorio non risulta essere stato integrato e la sentenza è stata resa a contraddittorio incompleto: di qui, ricorrendone i presupposti, la necessitata rimessione ex art. 105, comma 1, cit. affinché il Tar provveda a integrare il contraddittorio e a decidere sui motivi rimessi (evidentemente, su quelli ritenuti dal collegio non palesemente implausibili: arg. ex art. 49, comma 2, cod. proc. amm. ).

E’ esclusivamente sotto questo profilo che, come verrà precisato al p. 7.5. , la sentenza va riformata e la causa rimessa avanti al Tar ex art. 105 del cod. proc. amm..

Su domanda risarcitoria in forma specifica e ammissione in soprannumero ai corsi il Collegio non ignora che in alcuni casi (Cons. Stato, sez. VI, n. 2935/2014, Cons. giust. amm. Reg. Sic., nn. 557/2014 e 466/2013, Tar Lombardia –Brescia, n. 1352/2012 e Tar Toscana, n. 1105/2011) il giudice amministrativo, definendo giudizi su dinieghi di ammissione a corsi di laurea, nell’accogliere censure relative ad esempio alla violazione del principio dell’anonimato o a comprovate irregolarità nello svolgimento delle prove, una volta constatata la sostanziale impraticabilità della soluzione dell’annullamento integrale della procedura o della prova, dovendosi “evitare che il rimedio ad una ingiustizia si traduca in una generalizzata e ben più grave ingiustizia (sostanziale azzeramento del primo anno del corso di laurea in questione per tutti i partecipanti, compresi quelli che si sono utilmente e meritatamente collocati in graduatoria…”), ha considerato percorribile la strada dell’immatricolazione in sovrannumero allo scopo di soddisfare l’interesse pretensivo sostanziale fatto valere senza ripercussioni sulle posizioni degli altri candidati utilmente collocati in graduatoria.

Tornando al caso qui in esame, difetta però una correlazione diretta, un legame di presupposizione / consequenzialità tra le tipologie dei motivi d’illegittimità dedotti –ci si riferisce specialmente alle censure sulle irregolarità nello svolgimento delle prove e, in particolare, sulla violazione del principio dell’anonimato, oltre che sulla carenza di un provvedimento del MIUR di redazione della graduatoria, sulla composizione incompleta della commissione di validazione e sulle omesse verbalizzazioni- e la pretesa rivolta al giudice a vedere soddisfatto l’interesse sostanziale a ottenere il bene dell’assegnazione soprannumeraria del posto nella scuola di prima scelta.

Parte appellante, anche nel corso della discussione, considera possibile una “convivenza” tra accoglimento di motivi procedimentali e concedibilità, anche in sede cautelare, di un risarcimento in forma specifica attraverso l’iscrizione in sovrannumero nella graduatoria e l’assegnazione del posto presso la scuola prescelta.

Il Collegio non intravvede però alcun nesso causale tra motivi d’illegittimità dedotti e provvedimento richiesto al giudice, ossia tra causa petendi e petitum (giacché si chiede una statuizione integralmente satisfattiva a fronte dell’articolazione di motivi il cui accoglimento comporterebbe, come detto, null’altro se non la radicale caducazione degli atti della procedura e la riedizione della prova, con conseguente impossibilità di attribuire l’invocato soddisfacimento del bene finale auspicato – ossia l’ammissione ai corsi -).

A nulla rileva che l’appellante neghi di conservare un interesse all’annullamento degli atti della procedura e al rifacimento della stessa secondo legittimità facendo riferimento soprattutto al carattere “ciclico” della procedura, e riaffermi di avere agito in una prospettiva finalizzata –all’ammissione in via immediata alla scuola e in ogni caso- all’iscrizione soprannumeraria.

Quest’ultimo obiettivo risulta “fuori misura”, eccentrico ed eccessivo rispetto a tipologia e consistenza delle censure dedotte.

Nella sentenza impugnata il giudice di primo grado, nel disattendere i profili di censura attinenti alle irregolarità nello svolgimento delle prove, ha giustamente sottolineato come non sia stato posto in evidenza “alcun nesso causale preciso e concordante tra le irregolarità riferite e l’esito negativo” delle prove (v. p. 5.2. della sentenza).

A questo punto va solo aggiunto come in contrario non varrebbe richiamare, come, invece, è stato fatto dall’appellante, ad esempio, in tema di violazione della regola dell’anonimato e di sua incidenza sulla legittimità degli atti concorsuali, Cons. Stato, Ad. plen. n. 26/2013.

E infatti l’Adunanza plenaria ha statuito che l’accertata violazione del principio dell’anonimato nel corso di un procedimento concorsuale o in una pubblica selezione comporta l’invalidità della graduatoria finale senza necessità di accertare in concreto l’effettiva lesione dell’imparzialità in sede di correzione. Ma non ha statuito alcunché circa l’inserimento in via soprannumeraria in graduatoria e l’ammissione soprannumeraria al corso quale conseguenza dell’accertata violazione del principio dell’anonimato.

Indipendentemente, dunque, dalla soluzione da dare alla questione, posta dal MIUR, relativa alla non attuabilità, nei casi come quello in esame, sotto l’aspetto sia giuridico che “pratico”, di ammissioni sovrannumerarie, tanto più senza la corresponsione del trattamento economico normativamente previsto, “dando vita all’eccentrica figura della frequenza a titolo gratuito a una scuola di specializzazione medica”; a prescindere da ciò, e dalla risoluzione del problema, correlato, della impossibilità, o comunque dell’eccessiva onerosità, per il pubblico Erario, ex artt. 30, comma 2, cod. proc. amm. e 2058, commi 1 e 2, cod. civ. , di eventuali ammissioni soprannumerarie “con assegni” (specie in una situazione, come quella attuale, in cui il contenzioso sull’ammissione alle scuole di specializzazione in Medicina sta assumendo proporzioni vastissime), non sussistono per le ragioni su esposte, i presupposti per accogliere la domanda di risarcimento in forma specifica mediante immatricolazione in soprannumero.

7.2. Va adesso rammentato che l’appellante fonda sulla rilevata illegittimità della sanatoria dell’inversione delle prove d’area il proprio interesse, immediato e diretto, a potersi immatricolare nella scuola prescelta, e ciò –si sostiene- grazie a un maggior punteggio attribuibile all’appellante stesso, e/o a un punteggio minore da riconoscersi a un certo numero –imprecisato ma comunque elevato: decine, se non centinaia, di soggetti- di candidati i quali, a detta dell’appellante, avrebbero errato nel rispondere alle domande (illegittimamente) neutralizzate e abbuonate.

Il presupposto dal quale prende le mosse l’appellante è cioè che l’ “operazione complessiva di validazione / neutralizzazione / abbuono e ricalcolo dei punteggi” sarebbe illegittima.

Così però non è.

La tesi dell’appellante, svolta a confutazione delle statuizioni della sentenza del Tar di cui ai punti 4.1. e 4.2. (per una sintesi delle statuizioni si veda anche sopra, p. 3.), essenzialmente sulla questione che riguarda la (in)difendibilità della decisione di “sanare” l’inversione dei quesiti, non merita adesione.

Dalla sentenza appellata, che richiama il proprio precedente n. 3926 del 2014, e dal verbale dei lavori della commissione del 3 novembre 2014 (e anche a prescindere dall’osservazione fatta dal Tar per cui il richiamo alla interdisciplinarietà delle conoscenze mediche basterebbe di suo per azzerare qualsiasi questione su illegittime inversioni di quesiti o illegittime neutralizzazioni di domande riconducibili a settori diversi da quelli pertinenti) si ricava quanto segue.

Precisato che l’art. 7, comma 9 del bando d’ammissione prevede che la “valutazione dei dati clinici, diagnostici e analitici è riferita, in particolare alle materie riconducibili a tutti i settori scientifico- disciplinari fondamentali dell’area di riferimento”, poiché queste materie “sono indicate nella quarta colonna della Tabella di cui all’Allegato 2, citato dal bando e comprendono testualmente insegnamenti comuni alle due Aree come Anatomia Patologica, Medicina interna, Fisiologia, “l’avere la Commissione considerato che molti degli insegnamenti cui si riferivano 28 delle 30 domande fossero in realtà riconducibili a tutti i settori scientifico -disciplinari fondamentali all’area di riferimento, impedisce di ritenere “… che l’inversione dei quesiti, pur erroneamente effettuata, possa essere ritenuta radicalmente inficiante l’intera procedura…, proprio per essere le domande ab origine riferite comunque a materie che, ancorchè inserite in tre Aree differenti, non avrebbero potuto che essere ricondotte a tutti i settori scientifico- disciplinari fondamentali in sede di valutazione dei dati clinici, diagnostici e analitici” (così, in modo condivisibile, la sentenza impugnata).

Dal verbale dei lavori della commissione, in vista della fissazione del “criterio scientifico adeguato” per “strutturare” i 30 quesiti d’area emerge che, “data l’importanza dei settori scientifico-disciplinari fondamentali che sono parte irrinunciabile della formazione medica, diverse sono le sovrapposizioni tra i ssd fondamentali relativi sia alle scuole di specializzazione di area medica e sia a quelle dell’area dei servizi clinici…le domande riconducibili ai ssd comuni tra le due aree sono riferibili sia alla prova dell’area medica, sia a quella dell’area dei servizi…dopo attenta valutazione delle 30 domande comuni d’area … si evidenzia che: delle 30 domande contenute nella prova di area medica del 29 ottobre, 27 sono riconducibili ai 5 ssd comuni tra l’area medica e quella dei servizi, 1 quesito è riferibile al ssd Farmacologia BIO14 (ssd fondamentale dell’area medica, ma non dell’area servizi) mentre 2 quesiti non risultano pertinenti con alcun ssd fondamentale delle scuole dell’area medica; delle 30 domande contenute nella prova di area dei servizi clinici del 31 ottobre, 28 sono riconducibili ai 5 ssd comuni tra l’area servizi clinici e l’area medica, mentre 2 quesiti non risultano pertinenti con alcun ssd fondamentale delle scuole dell’area servizi. Alla luce di quanto sopra indicato si può pertanto ritenere che, al netto dei quesiti non pertinenti, le due prove d’area svolte il 29 ottobre e il 31 ottobre siano scientificamente aderenti ai criteri fissati dal bando (DM 8 agosto 2014, n. 612) e riconducibili direttamente all’area medica (prova del 29 ottobre) e all’area dei servizi clinici (prova del 31 ottobre)” (segue l’indicazione a verbale delle due domande ritenute non pertinenti per la prova dell’area medica –“Audiometria tonale liminare” e “Laringite da trauma vocale”, e dei due quesiti considerati non attinenti per la prova dell’area servizi –“Coefficiente di ripartizione di un farmaco” e “Principali meccanismi d’azione della metformina”).

In una prospettiva di –conservazione degli atti giuridici mediante- validazione, per quanto possibile, dei quesiti d’area, la commissione, in modo tutt’altro che irrazionale, ha posto in risalto sovrapposizioni ed elementi in comune tra ssd fondamentali, con riferimento a scuole sia d’area medica e sia d’area dei servizi clinici, considerando fondamentali le “discipline in oggetto” nella formazione e nell’esercizio dell’attività professionale in àmbito medico –chirurgico e dei servizi clinici.

La commissione ha poi posto in rilievo come, ai fini dell’attribuzione dei punteggi e della formazione della graduatoria, assumesse un’importanza rilevante il punteggio ottenuto dai candidati nelle 10 domande specifiche di scuola che, infatti, hanno un valore doppio (+2 risposta esatta, -0,6 risposta errata, 0 risposta non data, rispetto ai quesiti generali e a quelli d’area): specificità valorizzata (cfr. verbale cit. , pag. 3) nell’àmbito di una prova che, come detto, abbracciava ben 110 quesiti a risposta multipla.

La critica alla sentenza s’incentra poi sulla riaffermata pertinenza all’area di alcuni dei quesiti valutati come non pertinenti e, viceversa, sulla dedotta –dall’appellante, sempre avvalendosi del “parere tecnico scientifico dott. Marella”, in atti- non attinenza all’area di altri quesiti che la commissione ha invece valutato come “scientificamente aderenti ai criteri fissati dal bando”, validandoli.

La critica non sembra colpire il segno.

La scelta –fatta, per dir così, “a monte”- di quali quesiti d’area sottoporre ai candidati; e la decisione su validazione e neutralizzazioni, appartengono senz’altro a una sfera di discrezionalità dell’amministrazione estremamente ampia, e sindacabile in via esclusiva entro i limiti esterni, assai angusti, individuati dalla giurisprudenza in consimili giudizi (per un riferimento a una fattispecie, per alcuni aspetti, non dissimile da quella odierna, v. Cons. Stato, sez. VI, n. 7984 del 2010: sia chiaro però che la procedura contestata con il presente giudizio assume caratteristiche singolarissime, legate alla scelta di validazione/ neutralizzazione compiuta dopo l’erronea inversione dei quesiti delle prove d’area).

Viene in rilievo, a ben vedere, una censura che impinge nel merito di valutazioni tecniche, come tale inammissibile poiché sollecita il giudice amministrativo a esercitare un sindacato sostitutorio, al di fuori dei tassativi casi sanciti dall’art. 134 del cod. proc. amm. , fatto salvo il limite –qui non valicato- della abnormità della scelta tecnica (sul tema cfr. , “ex plurimis”, Cons. Stato, sez. V, n. 1601/2015).

Alla luce di questo criterio guida, oltre che del principio di conservazione degli atti giuridici, come si è puntualizzato sopra la commissione, chiamata a pronunciarsi sulla pertinenza, o meno, dei quesiti d’area, ha, “dopo attenta valutazione”, spiegato in modo comprensibile le ragioni delle proprie scelte.

Ed è entro questo quadro di riferimento che il ricorrente / appellante sembra in effetti avere chiesto al giudice amministrativo una completa sovrapposizione all’operato di validazione della commissione, una non consentita sostituzione del giudice a valutazioni compiute dalla commissione e, in definitiva, un’ingerenza –non consentita- nell’alveo di conoscenze e di valutazioni tecnico –scientifico –professionali, tipiche della scienza medica, senza che emergano a colpo d’occhio errori conclamati.

Per quanto attiene in particolare alla scelta di abbuonare due quesiti per ciascuna area va poi specificato che, poiché Commissione e MIUR, in esito a valutazioni tecnico/discrezionali che non sembrano affette da profili di palese abnormità, hanno affermato che solo due dei quesiti per ciascuna area risultavano obiettivamente “eccedentari” e che andavano quindi annullati, appare del tutto ragionevole che l’Amministrazione abbia deciso di “abbuonare” questi due quesiti a tutti i candidati , anziché “sottrarre” il corrispondente punteggio a tutti: in entrambi i casi si trattava d’individuare una modalità non irragionevole volta a “sterilizzare” i quesiti non pertinenti. Ma se la neutralizzazione di quei quesiti doveva riguardare tutti i candidati, allora non possono essere tenuti in considerazione gli argomenti svolti nell’atto d’appello diretti a una valutazione – per così dire – “virtuale” dei quesiti sterilizzati, basata sul fatto che l’appellante avrebbe comunque fornito la risposta esatta a tali quesiti: questo ragionamento non può essere seguito per la semplice ragione che quei due quesiti devono semplicemente sparire dalla vicenda sostanziale (e da quella processuale).

(In parte differenti sono l’impostazione e –quanto in particolare alla sindacabilità dell’individuazione dell’unica risposta esatta tra le diverse opzioni indicate- la soluzione da dare al profilo di censura per cui esisterebbero alcune domande con una pluralità di risposte esatte rispetto all’unica risposta esatta indicata dal MIUR –CINECA, mentre in altri casi vi sarebbero domande con nessuna risposta corretta, sicché –nella prospettazione di parte appellante- “l’errore nel considerare errate” alcune risposte ad altrettante domande alle quali l’appellante aveva risposto come indicato dal perito di parte avrebbe comportato l’illegittima collocazione del candidato in posizione non utile in graduatoria: v. infra, p. 7.3. ).

Se dunque la sentenza, sul punto, resiste alle critiche mosse, e se la decisione di validazione / neutralizzazione / abbuono è da considerarsi sostenibile, non può farsi questione, come invece vorrebbe l’appellante, di detrazione generalizzata, e di omesso computo, dei 30 punti previsti per i quesiti d’area, e, come si è spiegato sopra, neppure assume rilievo come l’appellante e i candidati utilmente collocati in graduatoria e ammessi, avessero risposto alle domande neutralizzate (e questo a prescindere dalla constatazione che l’appellante non fornisce alcun principio di prova riguardo all’affermazione per cui diversi candidati utilmente collocati in graduatoria e ammessi alla scuola avevano sbagliato –con conseguente ricalcolo del punteggio in diminuzione, a vantaggio dell’appellante- nel rispondere alle domande neutralizzate e abbuonate).

A sostegno della legittimità dell’azione complessiva di validazione dei quesiti d’area per 28/30esimi, e di contestuale neutralizzazione di (sole) due domande in quanto ritenute non pertinenti, va considerato inoltre:

-che viene in rilievo non uno stravolgimento del modulo organizzativo inizialmente prescelto, ma soltanto una modifica assai circoscritta della (valutazione della) prova, avuto riguardo alla esiguità del numero dei quesiti neutralizzati rispetto al totale dei quesiti anche solo d’area e, “a fortiori”, al totale complessivo (di 110, pari a 70+30+10 –v. art. 7 del bando d’ammissione) dei quesiti ai quali dover rispondere: risulta evidente dunque la scarsa incidenza delle domande neutralizzate se poste a raffronto col questionario considerato nel suo complesso.

Validazione, neutralizzazione e abbuono non sembrano avere danneggiato i princìpi di buon andamento e d’imparzialità dell’azione amministrativa; come si dirà tra breve, è stata garantita la “par condicio” a tutti i concorrenti;

-che il fatto che –sia pure entro il quadro, di oggettiva grave anomalia, dovuto all’inversione dei quesiti, sopra descritto- non sia intervenuta nessuna modifica strutturale del test, ma che la “variazione” effettiva sia risultata in definitiva circoscritta a una neutralizzazione di quesiti “di valore minimo”, con contestuale abbuono generalizzato del corrispondente punteggio, consente di poter affermare come non sia venuta meno una situazione di “par condicio”.

Come si è visto sopra l’assegnazione a ciascun candidato di un “pari punteggio pieno” per le domande eliminate non si concretizza in una illogica equiparazione tra coloro che hanno risposto esattamente e coloro che o non hanno risposto o hanno dato risposte errate.

Si è trattato invece di una scelta che non ha fatto emergere alterazioni della “par condicio”, pur tenendo conto delle singolarissime, auspicabilmente irripetibili, condizioni date.

Tutti i candidati sono stati cioè posti in grado di cimentarsi, in condizione paritaria, sulle materie indicate in origine come oggetto di prova.

Sotto questo aspetto non risulta intaccata la legittimità sostanziale della procedura, tenuto conto, come il Tar Lazio non ha mancato di sottolineare, del fondamentale principio di conservazione degli atti giuridici, il quale trova la sua naturale giustificazione nella considerazione che, quando è possibile recuperare un qualunque risultato utile a disciplinare un rapporto giuridico, occorre propendere per la soluzione che consenta di salvare il risultato stesso, ovviamente tenendo sempre ben presente che a tanto può pervenirsi quando non risultino coinvolti nella vicenda altri princìpi di carattere generale in qualche modo violati o comunque compromessi dalla operazione di salvezza.

La selezione compiuta non è risultata dunque diversa da quella prestabilita nel bando di ammissione di cui al DM n. 612/2014.

La neutralizzazione non ha alterato in modo illegittimo gli esiti del test.

Non si ravvisano inoltre né contraddittorietà nè profili d’irragionevolezza nell’azione ministeriale nell’avere, il MIUR, dapprima, riconosciuto l’errore preannunciando, col comunicato stampa del Ministro del 1° novembre 2014, l’annullamento e la ripetizione delle prove “oggetto dell’errore determinato da CINECA” salvo, due giorni dopo, optare per l’operazione di convalida, neutralizzazione, abbuono e ricalcolo dei punteggi.

A questo proposito in modo condivisibile il MIUR segnala come una cosa sia un comunicato stampa del Ministro, ossia dell’organo politico, e altro sia la gestione della procedura, affidata all’organo –gestionale, appunto- individuato all’interno del Ministero.

Si può soggiungere (v. , in tema di dichiarazione via tweet di un Ministro, Cons. Stato, sez. VI, n. 769/2015) che “gli atti dell’autorità politica, limitati all’indirizzo, controllo e nomina ai sensi del decreto legislativo n.165 del 2001, debbono pur sempre concretarsi nella dovuta forma tipica dell’attività della pubblica amministrazione (Cons. Stato, V, 24 settembre 2003, n.5444, Cassazione civile, sezione II, 30 maggio 2002, n.7913; III, 12 febbraio 2002, n.1970), anche, e a maggior ragione, nell’attuale epoca di comunicazioni di massa, messaggi, cinguettii, seguiti ed altro, dovuti alle nuove tecnologie e alle nuove e dilaganti modalità di comunicare l’attività politica”.

In questa situazione, considerata la diversità dei “livelli” di comunicazione e di adozione di atti e di provvedimenti, non è di per sé individuabile alcuna contraddittorietà rilevante.

In ogni caso, non può ravvisarsi contraddittorietà alcuna nell’operato ministeriale per avere, il MIUR, due giorni dopo il comunicato stampa del Ministro, in seguito, si badi, a un approfondimento avuto con l’Avvocatura dello Stato e alle valutazioni compiute dalla commissione, deciso di convalidare, neutralizzare, abbuonare e ricalcolare i punteggi.

Sempre in una prospettiva di reiezione dell’appello e di conferma della sentenza, sia pure con talune integrazioni e precisazioni motivazionali, va osservato, sulle denunce a) di “irregolarità diffuse” nel corso delle prove, b) di violazione dell’anonimato e c) di omesse verbalizzazioni, quanto segue.

Circa le irregolarità nello svolgimento delle prove, sintetizzate sopra, al p. 4. verso la fine (cfr. pag. 23 ss. ric. app.), le denunce risultano nel complesso generiche e indimostrate e, come si è precisato in sentenza, carenti dell’indicazione del nesso causale tra le irregolarità medesime e l’esito della prova.

Quanto alla violazione dell’anonimato, attuata, si sostiene, mediante “l’ingresso” di MIUR e CINECA nelle prove e la modifica postuma delle risposte, in primo luogo la censura è sfornita di qualsivoglia principio di prova in ordine a un’ingerenza che sia andata al di là dell’intervento strettamente diretto alla neutralizzazione dei due quesiti; essa, inoltre, non appare oggettivamente credibile, tenuto anche conto dell’elevatissimo numero di partecipanti alla procedura; infine il MIUR ha evidenziato che comunque i files originari dei test non sono andati perduti ma risultano semplicemente non visionabili se non a domanda degli aventi diritto ex artt. 22 ss. l. n. 241/1990.

In merito poi alla critica incentrata sull’omessa verbalizzazione il Collegio rileva che, per un verso, la verbalizzazione della procedura, nelle sue fasi fondamentali, è stata compiuta (si veda, ad es., il citato verbale della riunione del 3 novembre 2014).

Per altro verso, dalla nota del Capo Dipartimento del 3 novembre 2014, in atti, concernente la ricostruzione dell’accaduto, risulta che dal 2 settembre 2014 la commissione ha validato le domande predisposte da Selexi e che, quanto all’inversione delle domande delle prove d’area, il direttore del CINECA ha riconosciuto l’errore con comunicazione ufficiale del 31 ottobre 2014.

A parte che un obbligo di verbalizzazione così puntuale come lo vorrebbe l’appellante appare privo di specifici agganci normativi, e che le irregolarità nella verbalizzazione vanno valutate in relazione alla loro incidenza sulla legittimità della procedura considerata in concreto, resta il fatto che nell’appello non viene allegato alcuno specifico elemento che induca a ritenere compiute manipolazioni o falsificazioni di dati.

7.3. Per quanto riguarda invece i capi di sentenza con i quali il Tar ha respinto i profili di censura con cui:

-era stato rilevato che il MIUR non aveva adottato alcun provvedimento formale che autorizzasse la stesura della graduatoria secondo i criteri sanciti dalla commissione nella riunione del 3 novembre 2014;

-era stata dedotta l’incompletezza della “commissione di validazione” nei lavori della riunione anzidetta;

-era stata segnalata, e “corroborata” con la perizia di parte, la manifesta illogicità e incongruità di valutazioni sull’esistenza di una pluralità di risposte esatte –o di nessuna risposta esatta- per taluni quesiti;

per quanto attiene cioè ai profili di censura suindicati, da considerarsi non manifestamente infondati, in sede di rimessione della causa ex art. 105 cit., previa integrazione del contraddittorio:

a) in vista del vaglio del profilo di censura –allo stato non palesemente implausibile, diversamente da quanto ritenuto in sentenza al p. 7.2. – che attiene alla segnalata carenza di un provvedimento ministeriale esplicito e formale di redazione della graduatoria bisognerà tenere conto, in sede di rinvio, del fatto che la prova non è stata annullata in via di autotutela ma, più semplicemente, è stata “ortopedizzata”;

b) andrà vagliato dal Tar in sede di rinvio, una volta integrato il contraddittorio, pure il profilo di censura –anch’esso non manifestamente infondato, ma respinto in sentenza (v. p. 4.3.) – relativo alla composizione incompleta della commissione di validazione;

c) similmente, non sembrando manifestamente infondato (sulla statuizione di reiezione in primo grado cfr. p. 4.2. sent.), andrà rimesso all’esame del giudice di primo grado il profilo di censura per cui, sulla base del “parere tecnico –scientifico” in atti, non contestato dal MIUR, esisterebbero alcune domande con una pluralità di risposte esatte rispetto all’unica risposta corretta indicata dal MIUR –CINECA, mentre in altri casi vi sarebbero domande con nessuna risposta corretta sicché –nella prospettazione di parte appellante- “l’errore nel considerare errate” alcune risposte ad altrettante domande alle quali l’appellante aveva risposto come indicato dal perito di parte avrebbe comportato l’illegittima collocazione del candidato in posizione non utile in graduatoria (v. sopra, p. 7.2. ).

In particolare, nella prospettazione di parte appellante il punteggio aggiuntivo attribuibile al candidato, per le “domande cui ha risposto come indicato dai periti” (ma come detto in maniera errata per il MIUR) sarebbe di 5,20 punti, con conseguente riconoscimento di un punteggio complessivo di 97,4, quando l’ultimo degli ammessi a Milano ne ha avuti 93,7.

Allo stato la possibilità per l’appellante di aggiungere un punteggio ulteriore idoneo a consentirgli una collocazione in graduatoria in posizione utile per l’immatricolazione sembra, dunque, sussistere.

La prova di resistenza risulta verificata a priori in modo positivo.

Inoltre, in merito all’estensione del sindacato consentito al giudice sulla esattezza od erroneità delle risposte a quesiti con diverse opzioni di risposta nell’àmbito di procedure concorsuali o selettive, va segnalato, in fatto, che la circostanza che, ad esempio, per alcune domande potessero essere considerate esatte una pluralità di risposte altera in modo significativo l’elemento, prescritto in maniera tassativa dai criteri, della “unicità” della risposta esatta da dare, e si riflette sulle valutazioni negative consequenziali, differenziate, correlate a risposte errate e a mancate risposte; in diritto, va rammentato che, superata da tempo l’equazione discrezionalità tecnica / merito insindacabile, non può ritenersi sottratta al sindacato giurisdizionale l’individuazione, da parte dell’amministrazione procedente, dell’unica risposta esatta tra le diverse opzioni previste.

L’individuazione del contenuto esatto di una risposta a quesito non può cioè essere ricondotta alla “esclusiva discrezionalità tecnica” della P. A. .

Infatti “la risposta, indicata come esatta fra quelle riportate nel questionario, deve raccordarsi a una plausibile corretta applicazione dell’acquisizione delle scienze umane che vengono in gioco, ovvero di regole giuridiche, o di altri ordinamenti di settore, di cui è richiesta la conoscenza da parte del candidato, con esclusione di ogni ambiguità ed incertezza di soluzione…non può ricondursi all’esclusiva

discrezionalità tecnica dell’ente, una volta posta la domanda, l’individuazione del contenuto coerente ed esatto della risposta…” (Cons. Stato, sez. VI, n. 7984 del 2010).

Il Collegio, a questo proposito, nel considerare non persuasive le argomentazioni e le conclusioni della sentenza sul punto, è sì dell’avviso che non sia consentito al giudice amministrativo sostituirsi al MIUR nell’esercizio di poteri valutativi spettanti a quest’ultimo dato che, diversamente opinando, sarebbe il giudice amministrativo ad assumere la titolarità del potere, il che non è accettabile alla luce del principio della separazione dei poteri; ritiene, tuttavia, per altro verso, che nei quesiti a risposta multipla l’individuazione dell’unica risposta esatta non si collochi entro l’area di riserva dell’Amministrazione, e sia quindi sottoponibile -previa, se del caso, verificazione o c.t.u. – a un sindacato, sia pure di tipo “debole”, del giudice amministrativo.

7.4. Infine, sulla riproposta censura intitolata “illegittimità del numero di borse bandite” (solo 5.000, a fronte di un fabbisogno di medici specialisti da formare, accertato dalla Conferenza Stato –Regioni nel 2012, per l’a. a. 2013/2014, di 8.190 unità), ad avviso del Tar (v. p. 8.2. sent.) l’appellante avrebbe letto in maniera solo parziale l’accordo Stato –Regioni del 15 marzo 2012 per la determinazione del fabbisogno di medici specialisti per il triennio 2011/2012, 2012/2013 e 2013/2014. “Da esso –si legge in sentenza- risulta che i 5000 posti sono riferiti al primo anno di corso, nel quale il concorso è effettuato a livello nazionale e che il (MEF) ha individuato nel numero di 21.924 i contratti di formazione specialistica a carico dello Stato a partire dall’a. a. 2011/2012; all’art. 3 l’Accordo specifica pure che poiché “il numero dei contratti finanziati dallo Stato non consente di soddisfare il fabbisogno concordato, resta ferma la possibilità di finanziare, nei limiti del predetto fabbisogno ulteriori contratti di formazione specialistica con risorse regionali e di altri soggetti.”, di modo che la censura non ha neanche essa una sua dimostrazione, dato che non è esclusa, come consta al Collegio, l’assegnazione di ulteriori borse di studio finanziate dalle Regioni che ne hanno disposto i relativi stanziamenti…” (ad esempio la Regione Veneto, allo scopo di soddisfare specifiche esigenze regionali, risulta avere finanziato annualmente parecchie decine di contratti di formazione specialistica aggiuntivi per medici specializzandi delle scuole afferenti alle scuole di medicina e chirurgia delle Università di Padova e di Verona : cfr. l. reg. n. 9/2003 e DGRV n. 1429/2014; v. anche, da ultimo, la DGRV n. 566/2015).

La tesi di fondo dell’appellante –che sembra muovere dall’assunto per cui l’accoglimento della censura per ragioni sostanziali comporterebbe un incremento dei posti da assegnare con conseguente collocamento diretto dell’appellante in posizione utile e ammissione alla scuola prescelta- pare essere quella per cui la qualità formativa dev’essere protetta per non mettere a repentaglio il bene –salute, di rilievo costituzionale (art. 32 Cost.).

Il numero di 8.200 borse di studio non sarebbe derogabile per ragioni di bilancio, venendo altrimenti a rischio il bene –salute.

Il criterio da utilizzare proviene da CGUE, sent. 13 aprile 2010, C/73/08, secondo cui “una penuria di operatori sanitari porrebbe gravi problemi per la protezione della sanità pubblica e … la prevenzione di tale rischio esige la presenza di un numero sufficiente di diplomati sul territorio medesimo per esercitare una delle professioni mediche o paramediche contemplate dal decreto oggetto della causa principale…” .

In ogni caso, la fissazione di 5.000 borse a fronte di un fabbisogno maggiore di specialisti da formare (8.190) è avvenuta senza istruttoria né motivazione.

Il motivo non può trovare accoglimento.

Va premesso che la determinazione del fabbisogno del numero globale di medici specialisti da formare nelle scuole di specializzazione nel triennio 2011 -2014, e la fissazione del numero dei contratti di formazione specialistica con finanziamento a carico dello Stato, sono stabiliti in via diretta dall’art. 1 dell’accordo del 15 marzo 2012 concluso in sede di Conferenza Stato –Regioni.

In particolare, l’art. 1, comma 2, dell’accordo sancisce che le risorse disponibili consentono per l’a.a. 2011/2012 il finanziamento a carico del bilancio dello Stato di n. 5.000 contratti di formazione specialistica, con uno scostamento rispetto al fabbisogno evidenziato dalle Regioni e dalle Province autonome.

Ciò posto, in primo luogo il motivo, così come formulato, imperniato com’è sul mancato bilanciamento tra princìpi fondamentali in materia di tutela della salute ed esigenze di finanza pubblica, oltre ad avere “tono costituzionale”, specie là dove si ritiene incomprimibile per ragioni di bilancio il numero di 8.200 borse di studio, venendo altrimenti a rischio il bene salute, si rivolge in definitiva contro un atto (e mira a ottenere un intervento di tipo additivo) –vale a dire l’accordo del 2012, nella parte in cui è previsto un finanziamento a carico del bilancio statale di soli 5.000 contratti, anziché di un numero di “borse di studio” corrispondente al fabbisogno di medici da formare nelle scuole (8.200)- che ha natura squisitamente discrezionale in relazione alle esigenze di razionale distribuzione delle risorse e controllo della spesa (art. 81 Cost.) e quindi come tale è sottratto al sindacato di questo giudice.

Ciò toglie peso anche all’argomento incentrato sulla carenza d’istruttoria e di motivazione.

In ogni caso la censura, ove sottoposta a scrutinio nel merito, non potrebbe ugualmente trovare accoglimento.

In primo luogo, come rilevato in sentenza, in base al combinato disposto di cui agli articoli 1 e 3 dell’accordo, non è affatto esclusa l’assegnazione di ulteriori posti, e di borse di studio “aggiuntive”, finanziate dalle Regioni che abbiano disposto i relativi stanziamenti (come è difatti avvenuto);

-inoltre, anche a volere dare ingresso a una verifica “di congruità”, per dir così, del numero dei contratti finanziati, posto a raffronto con il fabbisogno dei medici, come plausibilmente osservato dal MIUR il limite dei medici iscrivibili alle scuole è correlato alle capacità ricettive delle strutture delle scuole stesse, sicché il superamento del limite degli iscrivibili rischia di fare venire meno, per tutti gli iscritti alla scuola, la garanzia che la formazione data sia coerente con gli obiettivi formativi previsti, con rischio altrimenti di detrimento non solo per gli interessi individuali degli specializzandi, ma anche, e soprattutto, dell’interesse pubblico a formare medici specialisti in grado di fornire una tutela adeguata al bene primario della salute dei cittadini.

7.5. In conclusione, previo rigetto in particolare della domanda di risarcimento del danno in forma specifica mediante immatricolazione in soprannumero l’appello va in parte respinto e, per l’effetto, la sentenza impugnata va confermata “in parte qua” (v. sopra, pp. 7.1. , 7.2. e 7.4.).

In parte, allo scopo di consentire al giudice di primo grado, previa integrazione del contraddittorio, di poter vagliare i profili di censura, da considerarsi, allo stato, non palesemente infondati, relativi a) alla segnalata carenza di un provvedimento ministeriale esplicito e formale di redazione della graduatoria, b) alla composizione incompleta della commissione di validazione e c) all’esistenza, o meno, di alcune domande con una pluralità di risposte esatte rispetto all’unica risposta corretta indicata dal MIUR –CINECA, e in altri casi all’esistenza di domande con nessuna risposta corretta, per le ragioni di rito ed entro i limiti specificati nella motivazione, alla quale si fa rinvio (v. sopra, p. 7.3.), la causa va rimessa al giudice di primo grado ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 105, comma 1, cod. proc. amm. .

7.6. Nell’esito complessivo della controversia, nella singolarità della vicenda e nella complessità di alcune delle questioni trattate il Collegio ravvisa, in base al combinato disposto di cui agli articoli 26, comma 1, cod. proc. amm. e 92, comma 2, cod. proc. civ. , eccezionali ragioni per l’integrale compensazione delle spese di entrambi i gradi del giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così provvede:

-rigetta la domanda di risarcimento del danno in forma specifica mediante immatricolazione in soprannumero;

– rigetta i motivi di appello di cui in motivazione;

-in parte, per le ragioni ed entro i limiti specificati in motivazione (su cui si vedano i punti 7.3. e 7.5.) rimette la causa al giudice di primo grado di primo grado ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 105, comma 1, del cod. proc. amm.;

-compensa integralmente tra le parti le spese e gli onorari del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 agosto 2015 con l’intervento dei magistrati:

Stefano Baccarini, Presidente

Claudio Contessa, Consigliere

Roberta Vigotti, Consigliere

Marco Buricelli, Consigliere, Estensore

Maddalena Filippi, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 22/09/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

18/12/2015

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