L’estate del 2011 è ormai passata da più di quattro anni, lo stesso tempo che è passato dall’intervenuta riforma introdotta dal legislatore con il Decreto-Legge n. 138 del 13 agosto 2011 convertito con modificazioni dalla L. 14 settembre 2011, n. 148 (in G.U. 16/09/2011, n. 216), con la quale il legislatore nazionale ha inteso razionalizzare l’esercizio delle funzioni comunali nell’ottica della tanto ricercata riduzione dei costi della rappresentanza politica.
All’interno della riforma viene introdotta una norma che interviene a modificare le modalità di nomina dei Revisori Legali dei Conti degli Enti Locali che, da sempre, a dispetto del tanto agognato requisito imprescindibile di “indipendenza“ che l’ordinamento dovrebbe garantire alla professione del Revisore, sono state governate dal classico metodo politico della spartizione feudale degli incarichi attraverso l’elezione da parte dei Consigli Comunali, Provinciali, Regionali ecc.
Finalmente con la citata riforma, in linea con l’orientamento dettato dalle norme e dalle raccomandazioni europee in materia, che riconoscono la centralità e la delicatezza della professione del Revisore e la valorizzano quale baluardo di legalità nei Comuni così come negli altri Enti Locali del nostro ordinamento, il legislatore italiano interviene con decisione dando dignità a quel requisito d’indipendenza fino ad allora rimasto vero esclusivamente sulla carta.
All’art. 16, comma 25, della legge di conversione 148/2011 si introduce infatti un nuovo sistema di scelta dell’organo di revisione dei conti degli enti locali (che a norma dell’art. 234 D. Lgs. 18 agosto 2000 n. 267 costituiva almeno in parte un’attività riservata agli iscritti All’Albo dei Dottori Commercialisti e degli esperti contabili), non più ad elezione diretta da parte dell’organo politico assembleare dell’Ente Locale ma bensì ad estrazione, a partire da un elenco istituito e gestito dal Ministero dell’Interno e composto dagli iscritti al Registro dei Revisori Legali e agli Iscritti all’Albo dei dottori commercialisti che, avendo adeguati requisiti previsti dalla stessa legge, ne presentino domanda.
Sorvolando, in questa sede, sull’opportunità di valutare equi ed oggettivi in relazione all’efficacia del ruolo ricoperto dal Revisore tali requisiti, la novità dell’estrazione non può che essere letta positivamente da tutti gli stakeholders che ruotano intorno alla figura del revisore che finalmente viene liberato dal “vincolo” della nomina politica che indubbiamente lo teneva velatamente legato a doppio filo con il gruppo di consiglieri che in sostanza gli “affidava l’incarico” votandolo in pubblica adunanza.
Senonché, volendo spostare il focus su quanto è accaduto nella nostra splendida isola, come ogni storia degna di essere raccontata dalle nostre parti, accade che, in nome del nostro benedetto statuto speciale, in Sicilia lo sforzo del legislatore romano rimane lettera morta con buona pace di chi ancora crede che come sancito dal titolo V della nostra Carta Costituzionale l’Italia è uno Stato composto da 20 Regioni.
Ebbene, la nostra Assemblea Siciliana, essendo la materia in questione rientrante tra le quelle di “competenza” Regionale nel rispetto dello Statuto Speciale Siciliano, non ha ancora recepito la riforma, dando campo libero ad una serie di questioni e di ovvie limitazioni che tale “gap istituzionale” genera nei confronti dell’ordinamento degli enti locali siciliano rispetto a quello nazionale, con ripercussioni dirette su una lampante disparità di trattamento tra il Revisore residente in Sicilia e quello invece residente in una delle regioni a statuto ordinario.
Il Regolamento chiamato a designare i binari entro i quali applicare la legge delega, approvato con decreto del Ministro dell’interno n. 23 del 2012, all’art. 1, comma 2, ha stabilito infatti che “L’inserimento nell’elenco avviene con l’iscrizione a livello regionale, in relazione alla residenza anagrafica di ciascun richiedente“, ma la stessa legge delega non contiene alcun riferimento ad un simile criterio che è dunque stato introdotto in modo arbitrario dal Ministero dell’Interno, probabilmente al fine di rispondere ad una esigenza squisitamente organizzativa di tali elenchi ed avulsa da ogni fondamento giuridico.
Il giorno del “Click Day” finale per inoltrare telematicamente la richiesta di inserimento negli elenchi al Ministero dell’Interno, i Revisori Legali residenti in Sicilia, ancorché iscritti nel medesimo Registro Romano dei Revisori Legali e aventi i medesimi requisiti dei Revisori residenti nelle regioni a statuto ordinario, all’inserimento del proprio codice fiscale sul portale non riescono ad accedere ed ad inoltrare la domanda, in quanto, per l’appunto “l’inserimento nell’elenco avviene con l’iscrizione a livello regionale” e non avendo la Sicilia recepito la riforma non c’è stato modo per i Siciliani di entrare nei suddetti elenchi.
Il punto è che anche volendo ipotizzare una lettura estensiva della normativa di rango primario in modo da poter ritenere il criterio della residenza, contenuto nel Regolamento, conforme alla legge delega, l’articolo 16, comma 25, del D.L. 13.8.2011, n. 138, finisce ugualmente per imporre una chiara restrizione alla libertà di esercizio dell’attività professionale all’interno del territorio nazionale, in palese contrasto con principi comunitari di non discriminazione ed in particolare degli artt. 26, 45, 46, 49, 56, 57, 101, 106 del TFUE, relativi alla libertà di circolazione dei servizi e della libertà di stabilimento, e degli artt. 9, 10, 13, 14, 15, 16 e 20 della Direttiva 2006/123/CE che impongono agli Stati membri di eliminare gli ostacoli normativi al libero esercizio ed al libero accesso di un’attività di servizi sul proprio territorio. Eppure, la professione del Revisore Legale è oggi forse l’unica professione italiana di rilievo europeo essendo informata ai principi internazionale IAS/FRS dello International Accounting Standard Board introdotti progressivamente dalla Comunità europea al fine di armonizzare le regole contabili di ciascun paese membro per consentire un alto grado di confrontabilità dei bilanci nonché dei risultati anche della finanza pubblica.
Da qui ne deriva il fatto che in Sicilia, le immutate modalità di elezione dei Revisori che rimangono in mano agli organi assembleari di riferimento fanno si che tutti gli iscritti all’Albo dei Dottori commercialisti di tutte le regioni nonché al registro dei Revisori Legali, possono legittimamente fare domanda per rivestire il ruolo di revisor in ogni Ente Locale siciliano e possono per di più legittimamente essere eletti. Nulla osta dunque a che il Revisore Legale residente a Forlì (fermo restando i limiti posti dalla legge in materia di rimborsi) faccia domanda e venga eletto nell’organo di revisione del comune siciliano di Joppolo Giancaxio, per esempio, ma, all’inverso, essendo Forlì una città della Regione a Statuto ordinario dell’Emilia Romagna, il Revisore residente a Joppolo Giancaxio, non avendo avuto accesso agli elenchi del Ministero dell’Interno, non può candidarsi alla procedura di estrazione per rivestire la carica di Revisore nel comune di Forlì, eppure i due sono entrambi cittadini Italiani.
Non appare peraltro condivisibile ed esaustiva, a giudizio di chi scrive, la sentenza del TAR del Lazio N. 00713/2013 REG.PROV.COLL. chiamata a decidere sul ricorso N. 04272/2012 REG.RIC. proposto anche per far valere l’illegittimità del discusso “criterio della residenza” dove afferma che:
“va posta attenzione alla natura della funzione che i revisori dei conti degli enti locali sono chiamati a svolgere, considerando che trattasi di compiti che richiedono un particolare impegno continuativo, oltre che una specifica professionalità. Pertanto, non appare illogico l’aver previsto un criterio (quello della residenza e del livello regionale dell’elenco) che garantisce uno più stretto collegamento spazio-temporale tra il revisore e l’ente e, conseguentemente, crea i presupposti affinché il revisore possa raggiungere più agevolmente e di frequente l’amministrazione presso la quale è tenuto a svolgere le proprie funzioni”.
Tale motivazione appare “fragile”, anacronistica ed allo stesso tempo porta in se una forte contraddizione in quanto sebbene intende avvalorare e legittimare il “criterio della residenza” a “garanzia” di uno più stretto collegamento spazio temporale tra il revisore e l’ente, in primis non tiene conto di quei revisori, cittadini italiani, comunque disposti a colmare le distanze e a muoversi senza limiti di sorta nel territorio nazionale e nel libero mercato del lavoro in un epoca di aerei e treni superveloci, ma soprattutto non entra nel merito della “disparità di trattamento” che l’applicazione di tale criterio genera nelle Regioni a Statuto speciale che non hanno recepito la riforma, lasciando aperta la questione.
Articolo a cura del Dott. Antonio Salvatore Piro
19/07/2016