Con l’ormai nota sentenza n. 70/2015 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del cosiddetto “Decreto salva Italia” del Governo Monti nella parte in cui prevede che «In considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall’art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, è riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento» (art. 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 – Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici).
In termini più chiari, la Consulta ha annullato la disposizione con cui il legislatore aveva bloccato l’indicizzazione automatica delle pensioni di importo superiore a 1.406 euro lordi al mese (tre volte il trattamento minimo), corrispondenti a circa 1.200 euro al netto delle tasse. Il provvedimento non riguardava invece coloro che percepivano un assegno più basso i quali hanno continuato invece a beneficiare della perequazione automatica parametrata sull’inflazione dei 12 mesi precedenti (questa categoria di pensionati, dunque non è interessata dalla pronuncia della Consulta). Con questa pronuncia i pensionanti che avevano visto congelarsi la pensione si trovano davanti all’aspettativa di ricevere un bel gruzzoletto. Per essere più concreti, basti pensare che ad una pensione pari a 4 volte il trattamento minimo (1.870 euro lordi al mese e circa 1.450 euro netti nel 2012), il blocco deciso dal governo Monti ha comportato un mancato aumento compreso tra 50 e 100 euro al mese per ben 4 anni.
I pensionati che rientrano in questa fascia, dunque, vantano un credito nei confronti dell’Inps di quasi cinquemila euro (100 euro al mese per un quadriennio). Si tratta però di una cifra calcolata al lordo delle tasse e, verosimilmente, la tassazione di queste somme sarà parametrata sull’aliquota marginale dell’irpef pagata dal contribuente (che, in questo caso, è del 27%). Al netto delle imposte, dunque, il pensionato dovrebbe in teoria ricevere un rimborso che si aggira complessivamente intorno ai attorno a 3.500 euro.
Al di là di queste stime approssimative, tuttavia, gli importi relativi all’adeguamento delle pensioni sono ancora da definire con precisione e bisognerà attendere qualche giorno per avere indicazioni da parte del Governo (specie con riguardo all’importo da riconoscere alle pensioni più alte). Da quanto fin qui emerso, pare che non ci sarà bisogno di presentare alcuna domanda all’Inps: il quantum da restituire ai pensionati la cui pensione era stata congelata dal “Decreto salva Italia” sarà calcolato direttamente da parte degli enti previdenziali. Regna ancora una grande incertezza, invece, con riferimento ai tempi che bisognerà attendere per il pagamento delle somme corrispondenti alla mancata indicizzazione delle pensioni per gli anni passati. L’ipotesi più accreditata, per il momento, è quella di una rateizzazione.
Di fronte ad uno scenario ancora così caotico, il nostro studio si offre per guidare – ed eventualmente prestare assistenza – a tutti coloro che intendono attivarsi per aver restituita la somma che in questi anni non è stata corrisposta.
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19/07/2016