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Unioni civili, il parere del Consiglio di Stato

Unioni civili

Unioni civili, il parere del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato – Sezione Consultiva per gli Atti Normativi ha reso il parere sullo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri recante “Disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri nell’archivio dello stato civile ai sensi dell’articolo 1, comma 34, della legge 20 maggio 2016, n. 76.”.
Il Consiglio ha reso parere favorevole con osservazioni.
In particolare la Sezione, esaminando i singoli articoli dello schema di decreto, ha rilevato che il successo di qualunque intervento normativo non dipende esclusivamente dalla qualità della regolazione, ma in parte ben più rilevante dall’attento monitoraggio sulla sua attuazione concreta.
In altre parole, qualunque riforma legislativa postula una indispensabile, successiva, accurata attività amministrativa di valutazione dell’impatto della regolazione.
Calati nel caso di specie, i precedenti rilievi hanno condotto la Sezione a raccomandare alle Autorità centrali, preposte all’implementazione amministrativa delle norme del decreto sopra citato, di assicurare – accanto ad iniziative di carattere informativo rivolte agli operatori – un controllo, di natura collaborativa, sulla corretta osservanza della nuova disciplina, mediante una continua vigilanza sull’esercizio delle funzioni di stato civile assegnate ai comuni e agli uffici della rete diplomatica e consolare (in tal senso è il condivisibile tenore della Sezione 1, lettera D, della relazione AIR), soprattutto nella fase di prima applicazione del futuro decreto, durante la quale potrebbero più facilmente manifestarsi incertezze applicative.
Come è noto con la legge 11 maggio 2016 n. 76, recante la “Regolamentazione delle unioni civili dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”, il Parlamento ha regolato l’unione tra persone dello stesso sesso e ha a tal fine delineato elementi e principi di un nuovo istituto giuridico, appunto l’“unione civile”.
Il Legislatore ha individuato espressamente il fondamento costituzionale della legge (articolo 1, comma 1) nel riconoscimento, ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione, del carattere di “specifica formazione sociale” delle unioni civili di persone omosessuali.
La fonte primaria coerentemente ha disciplinato l’istituto come distinto, anche nei presupposti costituzionali, dal matrimonio, pur applicandosi alla coppia omosessuale molti dei diritti e dei doveri che riguardano i coniugi.
Unioni civiliIn attesa che, entro la fine del 2016, la decretazione attuativa, “a regime”, della legge n. 76/2016 sia adottata dal Governo, è stata prevista l’emanazione, su iniziativa del Ministro dell’interno, di un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri – sul quale è richiesto il prescritto parere di questo Consiglio – con cui, nella fase attuale di prima applicazione della legge, sono dettate alcune disposizioni attuative con il circoscritto fine di consentire l’immediata operatività dei registri delle unioni civili, onde così corrispondere alle richieste presentate ai Comuni dalle coppie omosessuali per l’applicazione ad esse del nuovo istituto.

Unioni civili, l’esame del Consiglio di Stato

L’esame del Consiglio di Stato sul decreto inviato per il parere è volto a verificare se le disposizioni della norma primaria siano ben attuate, senza che, ovviamente, il precetto normativo regolamentare possa introdurre materie nuove o diversamente configurate rispetto a quanto la legge stabilisce.
L’altra questione di carattere generale esaminata dal Consiglio attiene ai doveri di adempimento da parte dei Comuni in ordine alle richieste formulate dalle coppie omosessuali aventi diritto, riguarda la possibilità stessa, evocata di recente da alcuni sindaci, di una “obiezione di coscienza” motivabile con il rifiuto, in base a convinzioni culturali, religiose o morali, di concorrere – appunto, nella qualità di sindaco – a rendere operativo l’istituto della unione civile tra persone dello stesso sesso.
Ritiene il Consiglio di Stato che il rilievo giuridico di una “questione di coscienza” – affinché soggetti pubblici o privati si sottraggano legittimamente ad adempimenti cui per legge sono tenuti – può derivare soltanto dal riconoscimento che di tale questione faccia una norma, sicché detto rilievo, che esime dall’adempimento di un dovere, non può derivare da una “auto-qualificazione” effettuata da chi sia tenuto, in forza di una legge, a un determinato comportamento.
Il primato della “coscienza individuale” rispetto al dovere di osservanza di prescrizioni normative è stato affermato – pur in assenza di riconoscimento con legge – nei casi estremi di rifiuto di ottemperare a leggi manifestamente lesive di principi assoluti e non negoziabili (si pensi alla tragica esperienza delle leggi razziali).
In un sistema costituzionale e democratico, tuttavia, è lo stesso ordinamento che deve indicare come e in quali termini la “coscienza individuale” possa consentire di non rispettare un precetto vincolante per legge.
Allorquando il Legislatore ha contemplato (si pensi all’obiezione di coscienza in materia di aborto o di sperimentazione animale) l’apprezzamento della possibilità, caso per caso, di sottrarsi ad un compito cui si è tenuti (ad esempio, l’interruzione anticipata di gravidanza), tale apprezzamento è stato effettuato con previsione generale e astratta, di cui il soggetto “obiettore” chiede l’applicazione.
Unioni civili 3Nel caso della legge n. 76/2016 una previsione del genere non è stata introdotta; e, anzi, dai lavori parlamentari risulta che un emendamento volto ad introdurre per i sindaci l’”obiezione di coscienza” sulla costituzione di una unione civile è stato respinto dal Parlamento, che ha così fatto constare la sua volontà contraria, non aggirabile in alcun modo nella fase di attuazione della legge.
Del resto, quanto al riferimento alla “coscienza individuale” adombrato per invocare la possibilità di “obiezione”, osserva il Consiglio di Stato che la legge, e correttamente il decreto attuativo in esame, pone gli adempimenti a carico dell’“ufficiale di stato civile”, e cioè di un pubblico ufficiale, che ben può essere diverso dalla persona del sindaco.
In tal modo il Legislatore ha affermato che detti adempimenti, trattandosi di disciplina dello stato civile, costituiscono un dovere civico e, al tempo stesso, ha posto tale dovere a carico di una ampia categoria di soggetti – quella degli ufficiali di stato civile –  proprio per tener conto che, tra questi, vi possa essere chi affermi un “impedimento di coscienza”, in modo che altro ufficiale di stato civile possa compiere gli atti stabiliti nell’interesse della coppia richiedente.
Del resto, è prassi ampiamente consolidata già per i matrimoni che le funzioni dell’ufficiale di stato civile possano essere svolte da persona a ciò delegata dal sindaco, ad esempio tra i componenti del consiglio comunale, sicché il problema della “coscienza individuale” del singolo ufficiale di stato civile, ai fini degli adempimenti richiesti dalla legge n. 76/2016, può agevolmente risolversi senza porre in discussione – il che la legge non consentirebbe in alcun caso – il diritto fondamentale e assoluto della coppia omosessuale a costituirsi in unione civile.
Altra questione di carattere generale attiene alla natura transitoria della fonte della disciplina in esame.
Unioni civili 4Al riguardo il Consiglio di Stato ha osservato che l’adozione di un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri per l’istituzione del registro dello stato civile può giustificarsi soltanto nella prospettiva, che il Legislatore ha considerato, di una immediata applicabilità di un nuovo istituto che tocca materia di estrema sensibilità e di rilevanza anche costituzionale.
In tale quadro, si comprende anche la scelta di rinviare le “apposite formule di rito” ad un decreto ministeriale, anziché inserirle come allegato allo schema di decreto in esame.

Unioni civili, il Governo dovrà adottare scelte definitive

Il Governo dovrà con i decreti delegati di cui all’articolo 1, comma 28, della legge adottare scelte definitive e organiche, rivedendo, integrando e, ove necessario, correggendo le previsioni stabilite per la fase transitoria. Seppure, quindi, il futuro decreto disciplinerà – ma soltanto per garantire l’avvio del nuovo istituto dello stato civile – materie che il suddetto articolo 1, comma 28, lettera a), individua come oggetto di una legislazione delegata, nondimeno tale anticipazione in via transitoria si regge su un’autonoma giustificazione anche funzionale e non può pregiudicare l’assetto definitivo delle scelte da definirsi con i decreti delegati.
Dalle superiori considerazioni discende, al contempo, l’esigenza che il Legislatore delegato si adoperi per un tempestivo esercizio della delega contenuta nel comma 28 della legge, dal momento che dalla (scongiurata) mancata adozione di una disciplina a regime non potrebbe scaturire, per le ragioni sopra accennate, l’effetto di una sopravvivenza delle norme recate dal decreto di cui allo schema in esame; dette norme regolamentari infatti, come già precisato, sono, per volontà legislativa, connotate da un’intrinseca e insuperabile provvisorietà che preclude – almeno in assenza di altri eventuali, futuri interventi normativi di rango primario – la stessa concepibilità di una loro ultrattività dopo la data del 5 dicembre 2016 (termine ultimo, fissato dal comma 28 dell’articolo 1 della legge, per l’esercizio della delega). In altri termini, la fonte regolamentare, attualmente idonea in considerazione della sua provvisorietà, non potrebbe considerarsi più tale ove destinata a rimanere, in un prossimo futuro, l’unica disciplina dell’istituto.
Tanto premesso, il Consiglio ha rilevato l’incompletezza dello schema di decreto.

Unioni civili, una prospettiva importante

La prospettiva della transitorietà dell’intervento regolamentare e l’esigenza di una rapida attuazione dell’istituto delle unioni civili, volute dallo stesso Legislatore, giustificano l’incompletezza di molte previsioni dello schema in esame, proiettato verso il fine dell’immediata operatività.
Di tale aspetto regolatorio la Sezione ha necessariamente tenuto conto e ha condiviso del pari, con riferimento all’individuazione del perimetro assegnato al provvedimento dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, la scelta di focalizzare le nuove regole esclusivamente sulla disciplina della tenuta degli archivi, come peraltro stabilito, a livello primario, dal Legislatore.
Non ignora, tuttavia, la Sezione che siffatta incompletezza possa dar luogo a plurimi dubbi applicativi.
A tali perplessità potrà, peraltro, porsi rimedio in prima battuta attraverso il ricorso a una attenta, approfondita ed equilibrata attività interpretativa delle Autorità amministrative statali, nonché del Consiglio in sede consultiva (ove sollecitato in tal senso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri o dagli altri Ministri interessati); in seconda battuta il Consiglio non esclude che, laddove non arrivi l’esegesi, il decreto in esame – pur nelle more dell’entrata in vigore dei decreti delegati (ma non oltre tale data) – possa essere modificato e integrato, sempre nel rispetto dell’alveo disciplinare delineato dal Legislatore, come precisato dallo stesso con il parere in commento.

Articolo a cura dell’Avv. Chiara Campanelli

19/04/2017

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