Diffama il datore di lavoro attraverso un falso account: legittimo il licenziamento.
Legittima la sanzione espulsiva irrogata ai danni di un lavoratore che attraverso un falso account manda ai colleghi mail diffamatorie contro i dirigenti, trattandosi di comportamento che lede irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra le parti, in ragione del coefficiente doloso e delle modalità usate (scritto anonimo e creazione d’un falso mittente) per diffondere il messaggio di posta elettronica giudicato diffamatorio.
La Sezione Lavoro della Suprema Corte ha rigettato il ricorso di un dipendente contro il licenziamento per giusta causa seguito al suo comportamento diffamatorio nei confronti dei superiori.
Il giudice di merito investito della domanda con cui si chieda l’invalidazione di un licenziamento disciplinare, accertatane in primo luogo la sussistenza in punto di fatto, deve verificare che l’infrazione contestata sia astrattamente sussumibile sotto la specie della giusta causa o del giustificato motivo di recesso; in caso di esito positivo di tale delibazione, deve poi apprezzare in concreto (e non semplicemente in astratto) la gravità dell’addebito, essendo pur sempre necessario che esso rivesta il carattere di grave negazione dell’elemento essenziale della fiducia e che la condotta del dipendente sia idonea a ledere irrimediabilmente la fiducia circa la futura correttezza dell’adempimento della prestazione dedotta in contratto, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del lavoratore dipendente rispetto all’adempimento dei suoi obblighi.
A tal fine bisogna tener conto di tutti i connotati oggetti e soggettivi del fatto, vale a dire del danno arrecato, dell’intensità del dolo o del grado della colpa, dei precedenti disciplinari nonché di ogni altra circostanza tale da incidere in concreto sulla valutazione del livello di lesione del rapporto fiduciario tra le parti.
Ebbene, ad avviso della Cassazione, il fatto oggetto di contestazione disciplinare è stato accertato e poi correttamente inquadrato come giusta causa in quanto integrante una diffamazione nei confronti di superiori del dipendente.
Quanto all’irrimediabile lesione del vincolo fiduciario tra le parti, nel caso concreto essa è stata adeguatamente motivata in ragione del coefficiente doloso e delle modalità usate (scritto anonimo e creazione d’un falso mittente) per diffondere il messaggio di posta elettronica giudicato diffamatorio.
Infine, in ordine all’invocata esimente di cui all’art. 599 c.p. (co. 2°), per avere il ricorrente agito nello stato d’ira determinato dall’altrui fatto ingiusto, consistente nelle voci diffamatorie ai suoi danni diffuse all’interno dell’azienda dai dirigenti che a loro volta erano stati poi diffamati dalla e-mail del dipendente, la censura si rivela non accoglibile per l’assorbente rilievo che, a monte, l’ingiusta condotta rimproverata ai dirigenti aziendali non è rimasta provata.
Adriana Costanzo per Norma.dbi.it
19/04/2017