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Licenziamenti nel pubblico impiego, la Cassazione: niente legge Fornero, vale art. 18

licenziamenti nel pubblico impiegoLicenziamenti nel pubblico impiego: non sono da considerare le modifiche apportate allo Statuto dei lavoratori dalla riforma Fornero, poi superata dal Jobs Act. I giudici danno ragione al governo: “occorre armonizzazione” per uniformare le regole

Il licenziamento del personale del pubblico impiego non è disciplinato dalla “legge Fornero” ma dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. E’ la Corte di Cassazione ad intervenire su una questione ampiamente analizzata e discussa, “all’esito di una approfondita e condivisa riflessione”, con la sentenza numero 11868 della Sezione Lavoro depositata pochi giorni fa.

Licenziamenti nel pubblico impiego: la pronuncia della Cassazione

I giudici hanno voluto mettere un punto su una vicenda da tempo controversa, per la quale sono intervenute anche sentenze di diverso orientamento. Il governo, in particolare con il ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, ha sempre puntualizzato come l’articolo 18 per gli statali non sia stato cambiato, né dalla legge Fornero né dal Jobs act. Nel 2012, infatti, l’ex ministro del Lavoro, Elsa Fornero, era intervenuto sui licenziamenti con modifiche sia nella procedura che “precede” il provvedimento, sia nella giustificazione dello stesso. La riforma del Lavoro targata Renzi-Poletti, poi, ha nuovamente modificato il noto articolo 18, limitando il reintegro ai soli casi di licenziamento per motivi discriminatori e sostituendolo in tutti gli altri casi con un indennizzo in denaro.

Per il pubblico impiego, nessuno di questi cambiamenti è da tenere in considerazione: stando a quanto statuito dalla Suprema Corte, le garanzie resterebbero quindi intatte, come il reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa. Un trattamento diverso rispetto ai lavoratori privati, sostiene il ministero, perché diversa appare la natura del datore di lavoro. Per porre fine a possibili diverse letture ermeneutiche, il governo vorrebbe intervenire con una norma che possa chiarire l’esclusione dei dipendenti pubblici dalle nuove regole. La precisazione dovrebbe trovare spazio nel testo unico del pubblico impiego, in attuazione della riforma della Pa.

Un impegno, in questo senso, era stato preso alla fine dello scorso anno da Madia, dopo una pronuncia della stessa Cassazione che allora, però, sembrava affermare il contrario, ossia che le modifiche della Fornero valevano anche per gli statali. Ora tutto torna a riallinearsi alla interpretazione dell’esecutivo.

Licenziamenti nel pubblico impiego: il principio di diritto

Il principio di diritto fissato dalla Cassazione esclude che la legge Fornero si applichi ai licenziamenti dal pubblico: “Ai rapporti di lavoro disciplinati dal dal d.lgs 30.3.2001 n.165, art.2 (le norme generali sul lavoro pubblico), non si applicano le modifiche apportate dalla legge 28.6.2012 n.92 (riforma del lavoro Fornero) all’art.18 della legge 20.5.1970 n.300 (lo Statuto dei lavoratori), per cui la tutela del dipendente pubblico in caso di licenziamento illegittimo intimato in data successiva all’entrata in vigore della richiamata legge n.92 del 2012 resta quella prevista dall’art.18 della legge n.300 del 1970 nel testo antecedente alla riforma”. Per la sentenza, dunque, le innovazioni sull’articolo 18 “non si estendono ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni”, sino ad un “intervento normativo di armonizzazione”.

La decisione è nata da un ricorso del ministero delle Infrastrutture contro un funzionario – licenziato perché faceva il doppio lavoro – al quale la Corte d’appello di Roma aveva riconosciuto 6 mesi di indennità risarcitoria, come prevede la legge Fornero nel caso di licenziamenti legittimi ma con violazione delle procedure di contestazione disciplinare. Il Ministero nel ricorso in Cassazione aveva fatto reclamo contro i sei mesi di risarcimento. Ora il caso torna alla Corte d’appello di Roma.

I sindacati, intanto, hanno espresso soddisfazione per la vicenda.

13/06/2016

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