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Mancato superamento del periodo di prova: licenziamento nullo in caso di motivo illecito

Mancato superamento del periodo di prova: licenziamento nullo in caso di motivo illecito

La valutazione datoriale in ordine all’esito della prova è ampiamente discrezionale, sicché la prova da parte del lavoratore dell’esito positivo dell’esperimento non è di per sé sufficiente ad invalidare il recesso, assumendo rilievo tale circostanza se ed in quanto manifesti che esso è stato determinato da motivi diversi. Precisamente, il licenziamento è nullo tutte le volte che il lavoratore ritenga e sappia dimostrare l’imputabilità del licenziamento ad un motivo illecito e quindi, estraneo alla funzione del patto di prova.

norma_default200Questo quanto emerge dalla sentenza della Sezione Lavoro della Suprema Corte, 18 gennaio 2017 , n. 1180.
I Giudici, chiamati a pronunciarsi sulla legittimità o meno del licenziamento intimato durante il periodo di prova ad un dipendente di un’azienda farmaceutica, hanno precisato che nella fase genetica del rapporto di lavoro, le parti possono apporre una clausola di prova, disciplinata dall’art. 2096 cod. civ., dove l’interesse prevalente è la sperimentazione e la valutazione, da parte del datore di lavoro, delle caratteristiche e delle qualità del lavoratore, nonchè del proficuo inserimento di quest’ultimo nella struttura aziendale. Al termine del periodo, il datore di lavoro può licenziare il lavoratore, senza essere tenuto a motivare il licenziamento in modo specifico nè a riconoscere il preavviso.

Mancato superamento del periodo di prova, i rilievi dei Giudici

La libertà nel recesso non significa tuttavia che esso sia a totale discrezione del datore di lavoro: la Corte Costituzionale nella sentenza n. 189/1980, ha ritenuto infondata la questione di costituzionalità dell’art. 2096, comma 3, cod. civ., e art. 10 della Legge 15 luglio 1966, n. 604, nelle parti in cui consentono il recesso immotivato del datore dal rapporto di lavoro in prova, non contrastino con l’art. 3, commi 1 e 2, artt. 4, 25 e 41, comma 2, Cost. a patto di riconoscere la sindacabilità del concreto esercizio del recesso operato dall’imprenditore in costanza del periodo di prova e l’annullabilità dell’atto nel quale si esprime, tutte le volte che il lavoratore “ritenga e sappia dimostrare il positivo superamento dell’ esperimento nonchè l’imputabilità del licenziamento ad un motivo illecito”.
licenziamentiFacendo seguito a tale arresto, la Sezione lavoro della Suprema Corte ha affermato che il licenziamento intimato nel corso o al termine del periodo di prova, avendo natura discrezionale, non deve essere motivato, neppure in caso di contestazione in ordine alla valutazione della capacità e del comportamento professionale del lavoratore stesso, aggiungendo tuttavia che incombe sul lavoratore licenziato, che deduca in sede giurisdizionale la nullità di tale recesso, l’onere di provare, secondo la regola generale di cui all’art. 2697 cod. civ., sia il positivo superamento del periodo di prova, sia che il recesso è stato determinato da un motivo illecito e quindi, estraneo alla funzione del patto di prova Risultandone quindi circoscritta la libertà di recesso nell’ambito della funzione cui il patto di prova è finalizzato.
Ne consegue che la valutazione datoriale in ordine all’esito della prova è ampiamente discrezionale, sicchè la prova da parte del lavoratore dell’esito positivo dell’esperimento non è di per sè sufficiente ad invalidare il recesso, assumendo rilievo tale circostanza se ed in quanto manifesti che esso è stato determinato da motivi diversi.

Adriana Costanzo per Norma.dbi.it

11/04/2022

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