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Previdenza e Assistenza dei Commercialisti: quali poteri di verifica e accertamento delle situazioni di incompatibilità?

Previdenza e Assistenza dei Commercialisti: quali poteri di verifica e accertamento delle situazioni di incompatibilità?

Può la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei dottori commercialisti (CNPADC) annullare periodi contributivi durante i quali la professione di dottore commercialista sia stata svolta in situazione di incompatibilità, ove detta situazione non abbia condotto alla cancellazione dall’albo del professionista?

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Chiamate a pronunciarsi sulla questione sopra rassegnata, stante la sussistenza di due contrastanti indirizzi interpretativi e il ricorrere di una questione di massima di particolare importanza, la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite (Sentenza  1 febbraio 2017 , n. 2612), ha affermato che la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei dottori Commercialisti è titolare del potere di accertare, sia all’atto dell’iscrizione alla Cassa, sia periodicamente e comunque prima dell’erogazione di qualsiasi trattamento previdenziale, che l’esercizio della professione non sia stato svolto nelle situazioni di incompatibilità di cui all’art. 3 del D.P.R. n. 1067/1953, ora art. 4 del D.Lgs. n. 139/2005, ancorchè tale incompatibilità non sia stata accertata dal Consiglio dell’Ordine competente.
Bocciato, dunque l’orientamento in base al quale la Cassa di previdenza ed assistenza dei dottori commercialisti avrebbe solo il potere di accertare la sussistenza o meno dell’esercizio della libera professione, ma non quello di verificare la legittimità dell’iscrizione all’albo professionale per una causa di incompatibilità ai sensi del D.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1067 (ordinamento della professione di dottore commercialista), in quanto tale potere spetta unicamente al Consiglio dell’Ordine dei dottori commercialisti.

Previdenza e Assistenza dei Commercialisti, i rilievi della Cassazione

La Corte di Cassazione ha, invece, aderito all’indirizzo, recentemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cuii poteri di verifica e accertamento della Cassa di previdenza non conoscono limiti poichè, da un lato, l’ente previdenziale ha “ai sensi dell’art. 11, lett. b), della Legge n. 100/1963, il potere di accertare la sussistenza o meno dell’esercizio della libera professione” e, dall’altro, ha anche il potere di cui alla Legge n. 21/1986, ex artt. 20 e 22, comma 3, di verificare il legittimo esercizio della medesima, quindi l’inesistenza di situazioni di incompatibilità.
Pervenendo, più specificamente, ad esaminare la questione della titolarità di un autonomo potere della Cassa di verificare l’esercizio della professione di commercialista in situazione di incompatibilità, la Corte ha affermato che tale potere trova la sua prima ed evidente affermazione nell’obbligo della Cassa, ai fini dell’iscrizione alla stessa, di accertare l'”esercizio della libera professione in via continuativa”. L’espressione “esercizio della libera professione” non è dissociabile dalla verifica che detto esercizio sia anche legittimo e dunque non esercitato in situazione di incompatibilità e con la garanzia, cioè, che non vi sia “lesione dei principi di onorabilità, indipendenza, imparzialità a causa di conflitti di interesse, dipendenza materiale o psicologica nei confronti del cliente, limitazione dei diritti civili e delle capacità di azione sia civile che penale.In altri termini,l’attività professionale è qualificabile come “libera professione” se di questa presenta tutte le caratteristiche ivi compreso il suo esercizio in conformità alle norme che la disciplinano, tra le quali quella che impone di non esercitarla in stato di incompatibilità. Non si può non considerare che l’esercizio della professione in situazione di incompatibilità costituisce una situazione che per l’ordinamento non è meritevole di tutela ed è foriera di conseguenze sullo status del professionista molto importanti tali da determinare la sua estromissione dall’esercizio della professione il cui esercizio illecito non può sicuramente arrecargli indebiti vantaggi. In tal senso l’esercizio legittimo dell’attività professionale costituisce un prius logico e giuridico, un presupposto di fatto, necessario anche per valutare e riconoscere il periodo di attività svolta ai fini previdenziali.
norma_default200Ulteriori elementi a conforto della tesi qui accolta debbono essere tratti poi, proseguono i Giudici, dagli artt. 20 e 22, comma 3, della Legge n. 21/1986, i quali stabiliscono che la Cassa di previdenza accerta “la sussistenza del requisito dell’esercizio della professione… comunque prima dell’erogazione dei trattamenti previdenziali e assistenziali” effettuando, “all’atto della domanda di pensione”, controlli finalizzati ad accertare la “corrispondenza tra le comunicazioni inviate(le)… e le dichiarazioni annuali dei redditi e del volume di affari… (degli) ultimi quindici anni”, anche per “conoscere elementi rilevanti quanto all’iscrizione e alla contribuzione”.
Da questo complessivo dato normativo si ricava che “la Cassa, prima dell’erogazione dei trattamenti assicurativi, è tenuta ex lege a verificare l’esistenza del requisito del legittimo esercizio della professione, che si manifesta, tra l’altro, nell’assenza di situazioni d’incompatibilità”.

Previdenza e Assistenza dei Commercialisti, il percorso dei Giudici

In tal senso deve essere accolto e condiviso il percorso argomentativo espresso dalla Sezione Lavoro con la sentenza n. 25526/2013 che dà rilievo alla facoltà della Cassa di “esigere dall’iscritto e dagli aventi diritto a pensione indiretta, all’atto della domanda di pensione o delle revisioni, la documentazione necessaria a comprovare la corrispondenza tra le comunicazioni inviate alla Cassa medesima e le dichiarazioni annuali dei redditi e del volume d’affari, limitatamente agli ultimi quindici anni”, sotto comminatoria di sospensione del trattamento, rilevando che se l’esercizio di tale verifica fosse limitato al solo fatto storico della professione e non anche alla legittimità della stessa, si tratterebbe di attribuzione del tutto singolare, nel senso di “riconoscerle poteri autoritativi di natura oggettivamente amministrativa senza che nel contempo pretendere che con essi si accerti che l’assicurato abbia maturato legittimamente il proprio credito pensionistico”.

Adriana Costanzo per Norma.dbi.it

14/02/2017

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