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Blocco stipendiale dipendenti pubblici non contrattualizzati 2011/2014, non ha efficacia ai fini del calcolo della pensione

90 collaboratori amministrativiCome evidenziato nel nostro precedente articolo relativo ad un mancato calcolo nella base pensionabile della promozione conseguita da un dirigente di Polizia di Stato (T.A.R. Lazio Sent.n.9440/2018 del 18.09.2018) durante il periodo di vigenza del c.d. “blocco stipendiale” – anni 2011/2014 -, affrontiamo adesso l’argomento con riferimento a tutti i dipendenti delle PP.AA. del comparto non contrattualizzato di cui all’art. 3, D.lgs. n.165/2001, alla luce, stavolta, dell’ordinanza di rimessione alla Corte Costituzione emessa della Corte dei Conti della Regione Liguria il 13.01.2017.

Tale ordinanza della Corte dei Conti della Regione Liguria, la n.1/2017, ha finalmente posto al vaglio della Corte Costituzionale l’ormai noto problema dell’efficacia (o per meglio dire la ricaduta) dei cosiddetti blocchi stipendiali del periodo 2011/2014 sulle pensioni dei vari dipendenti pubblici cessati dal servizio proprio in quel quadriennio.

Più semplicemente, la questione di legittimità è stata posta nei confronti dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del D.L. n.78/2010 convertito con la Legge n.122/2010 (“spending review”) che ha disposto il congelamento di tutti gli effetti economici (ma non degli effetti giuridici) delle progressioni di carriera comunque denominate conseguite dai pubblici dipendenti nel triennio 2011/2013 (poi esteso anche al 2014), nella parte in cui detta norma “cristallizza” al 31.12.2010 il trattamento economico utile ai fini della determinazione della base pensionabile.

La citata norma sul blocco stipendiale ha generato in alcune circostanze un assurdo, ingiusto e disuguale effetto per il quale, a parità di condizioni, alcuni pubblici dipendenti che hanno conseguito una progressione di carriera, ad esempio, in data 31.12.2010 (prima del c.d. blocco) avranno al momento del pensionamento una base pensionabile maggiore rispetto al collega, in ipotetica identica situazione ed anzianità, che però ha conseguito la progressione di carriera all’interno del periodo di blocco stipendiale, anche solo una settimana dopo rispetto al primo. A ciò si aggiunga che, nell’esempio accennato, i due soggetti andrebbero in pensione in pari data ma, l’effetto diseguale sul calcolo della base pensionabile si potrebbe produrre anche nel caso in cui il secondo soggetto abbia maturato una anzianità di servizio superiore al primo che, però, ha conseguito la progressione di carriera ed è andato in pensione prima del periodo di blocco degli stipendi.

Non solo, si potrebbe anche cagionare un’ingiustificata disparità di trattamento tra chi nel periodo 2011/2014, pur avendo raggiunto lo scatto di anzianità, s’è visto costretto ad andare in quiescenza per raggiunti limiti d’età e chi, invece, proprio perché più giovane è andato in pensione dopo il periodo di blocco.

Proprio per la presenza di tali disomogenei effetti giuridici sulla base pensionabile dei pubblici dipendenti soggetti al blocco delle progressioni di carriera, la Corte dei Conti della Regione Liguria, inizialmente adita per pronunciarsi su un caso riguardante un ufficiale della Marina Militare promosso proprio durante il periodo dei blocchi stipendiali, ha rimesso la questione al vaglio costituzionale del giudice delle leggi affinché stabilisca se la vigenza di tali condizioni giuridiche e normative, costituisca una violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza di cui alla Carta Costituzionale.

La presente questione relativa all’incidenza dei blocchi stipendiali sul calcolo della pensione ha già ricevuto, da parte di diversi organi giurisdizionali, pronunce favorevoli ai richiedenti (Cfr. Corte dei Conti Calabria n.13/2018 del 01.02.218) che, quindi, si sono visti riconoscere a fini pensionistici gli effetti giuridici della progressione di carriera ottenuta durante il periodo del blocco stipendiale.

A prescindere, però, dalla rimessione del gennaio 2017 della specifica questione alla Corte Costituzionale, quest’Ultima, in passato, si era già pronunciata favorevolmente (Cfr. sent. n.310/2013 e n.158/2014) alla legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21 cit, nella misura in cui “si ravvisa nel carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario consentano allo scopo prefissato, nonché temporalmente limitato, dei sacrifici richiesti e nell’esigenza di contenimento della spesa pubblica, le condizioni per escludere l’irragionevolezza delle misure in questione”.

In conclusione, ove non si riconoscesse ai soggetti cessati dal servizio per limiti di età durante il blocco degli stipendi, la possibilità di vedersi riconosciuti gli emolumenti pensionabili derivanti dalla progressione di carriera avvenuta durante la cristallizzazione delle retribuzioni, si finirebbe per determinare un effetto definitivo penalizzante in capo a taluni soggetti e, quindi, in palese contrasto con le precedenti pronunce della Corte Costituzionale.

Per ulteriori informazioni potete contattare lo studio legale inviando una mail a [email protected]

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26/10/2018

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